Ecuador: al grido di “Fuera Lasso”, lo sciopero nazionale arriva nella capitale

Il 22 giugno ha rappresentato il decimo giorno dello sciopero nazionale in Ecuador indetto dalla CONAIE (la Confederazione delle nazioni indigene) contro le politiche del presidente, il banchiere Lasso. La repressione brutale della polizia, che ha causato 2 morti e decine di feriti, non ha fermato il movimento.

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Le colonne di manifestanti indigeni contadini hanno raggiunto la capitale sfondando i cordoni della polizia e dell’esercito e sfidando lo stato di emergenza dichiarato dal presidente lo scorso 17 giugno in 5 province, tra cui la capitale Quito.

Tutto ciò avviene nonostante Lasso predichi il dialogo. Il 20 giugno alcuni deputati hanno tentato di revocare lo stato d’emergenza per mezzo di una mozione parlamentare, ma non hanno ottenuto la maggioranza necessaria.

In un intervento dal tono intimidatorio, il ministro della Difesa Luís Lara, affiancato dall’alto comando delle Forze Armate, ha affermato che “la democrazia è in serio pericolo” e ha avvertito che “le Forze Armate non permetteranno alcun tentativo di infrangere l’ordine costituzionale o qualsiasi azione contro la democrazia o la legge”. Il messaggio è chiaro: di fronte alle proteste della maggioranza, l’esercito è pronto a garantire l’ordine borghese.

Un compagno della provincia meridionale di El Oro ci invia questo resoconto della situazione:

“Ogni giorno, dall’alba, inizia lo sciopero. A seconda della zona in cui si vive, sarà più o meno forte. Nelle tre province in cui è stato appena dichiarato lo stato di emergenza è sempre forte, gli scontri con la polizia e l’esercito sono molto frequenti. Fin dall’alba, i manifestanti iniziano a bloccare le strade utilizzando ogni tipo di materiale, alberi abbattuti, pietre o terra, il tutto per creare delle barricate che impediscano la mobilità sulle strade. Molti automobilisti e persone si arrabbiano, alcuni cercano di investire gli altri per passare; altri sono molto comprensivi, alcuni addirittura si uniscono alle manifestazioni.

“Tutto questo avviene nelle periferie delle province. Nelle città, dopo una settimana di sciopero, la carenza di cibo comincia a farsi sentire, con aumenti dei costi fino al 100%. Questa è la diretta conseguenza di uno degli slogan lanciato da alcuni di noi nello sciopero: ‘senza la campagna, la città non mangia'”.

“Nella capitale Quito c’è una lotta quotidiana. Ogni giorno arrivano sempre più carovane di persone disposte a lottare. Le manifestazioni si svolgono intorno al centro storico. Nei primi giorni gli scontri con la polizia erano di lieve entità, ma ora c’è un vero e proprio stato di terrore, la polizia commette crimini contro l’umanità ed è completamente protetta dal governo. Gli scontri stanno diventando sempre più intensi.

“La repressione è terribile. Di recente, dopo il suo arresto arbitrario, si è tentato di assassinare Leonidas Iza, il leader del CONAIE, l’organizzazione che ha indetto le proteste. I media locali che trasmettono notizie sulle manifestazioni vengono attaccati, i mass media nazionali dicono che va tutto bene e ogni giorno e ogni ora viene trasmessa la propaganda del governo.”.

Un’enorme folla di 50.000 persone ha sfilato oggi nel centro di Quito, nel giorno in cui le organizzazioni hanno consegnato la risposta alla lettera del governo che invitava al negoziato.

Le organizzazioni chiedono che i negoziati siano effettivamente chiari e riguardino in modo specifico la loro lista di 10 punti di rivendicazioni, oltre a una serie di pre-requisiti per qualsiasi trattativa: la revoca dello stato di emergenza, la fine della repressione, il ritiro della polizia dal Parque del Arbolito e dalla Casa de la Culture nel centro storico di Quito.

Alla fine della protesta pacifica ma arrabbiata, sulla base dello slogan Fuera Lasso,si è scatenata di nuovo la repressione della polizia e gli scontri, con i giovani che hanno guidato l’autodifesa del movimento.

Nel frattempo il movimento ha già acquisito proporzioni insurrezionali in alcune province. È il caso, ad esempio, di Ambato, capoluogo della provincia di Tungurahua, a sud di Quito. Un’enorme folla di manifestanti, guidata da una linea di autodifesa di giovani armati di bastoni, che indossavano caschi e portavano scudi fatti in casa, ha marciato verso il palazzo del governatore con l’obiettivo di prenderne possesso.

Quando sono arrivati hanno scavalcato e rimosso le recinzioni di protezione e sono entrati nell’edificio. La polizia si è fatta da parte e non ha opposto resistenza: erano in forte inferiorità numerica.

Una volta che l’hanno messa in sicurezza, l’hanno ribattezzata “Casa del Pueblo”.

La domanda “chi governa? Il popolo o il governo di Lasso” si pone sempre più spesso. Il movimento (stimolato e adirato dalla repressione) sta diventando più forte e dinamico. La classe dominante sembra essere nel panico. Ora cerca di usare la Chiesa per chiedere il dialogo. C’è stata anche una dichiarazione congiunta delle ambasciate dell’imperialismo che chiede “pace, riconciliazione, dialogo e ricostruzione nazionale”. Ciò significa che hanno paura e chiedono al governo di fare concessioni per allontanare le masse dalle strade.

Il governo è debole. Sta cercando di usare la carta dei negoziati (visto che la repressione non ha funzionato). Potrebbe anche offrire concessioni serie e sostanziali, di fronte a un’insurrezione in piena regola.

Ci sono dei paralleli con l’Ottobre rosso del 2019. Anvje in quell’occasione le masse paralizzarono il paese dopo aver risposto alla convocazione delle manifestazioni da parte della CONAIE. Nonostante la repressione brutale del governo, presero possesso della capitale, Quito, e costrinsero il presidente a rifugiarsi a Guayaquil. Tuttavia, nonostante l’indignazione popolare, invece di rovesciare il presidente dell’epoca, Lenin Moreno, i vertici della CONAIE firmarono un accordo parziale con il governo a sospesero le mobilitazioni. L’occasione fu persa.

Non è chiaro cosa succederà stavolta, ma una cosa è chiara: le masse lavoratrici dispongono della forza necessaria per vincere.

Anche stavolta, l’atteggiamento dei leader della CONAIE e in particolare di Leonidas Iza sarà cruciale. Finora hanno svolto un ruolo positivo, facendo partire il movimento, mantenendo alta la tensione, avanzando di fronte alla repressione. Sui negoziati hanno affermato di non essere contrari, ma di porre delle condizioni.

Il movimento ha iniziato a organizzare l’autodifesa, basandosi sull’esperienza del 2019.

Ciò che manca ora è l’ulteriore sviluppo delle assemblee di massa, che sono già state costruite in varie zone, per dare al movimento un carattere democratico organizzato. Tali organismi potrebbero diventare organi di dualismo di potere e mettere in discussione il potere ufficiale dello Stato capitalista.