Le origini della società di classe

Quando guardiamo al mondo di oggi e vediamo miliardi di persone tormentate dalla povertà, dall’asservimento e dall’oppressione, è facile presumere che questi orrori abbiano accompagnato l’umanità per tutta la sua esistenza. Dopotutto, per migliaia di anni, re, filosofi e sacerdoti ci hanno detto che è sempre stato nella natura degli esseri umani soffrire questi mali. Uno studio serio del nostro lontano passato, tuttavia, dimostra il contrario. Per quasi tutta la nostra esistenza come specie, abbiamo vissuto in gruppi comunisti di cacciatori-raccoglitori, senza signori o padroni di alcun tipo.

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Per i difensori dell’attuale ordine sociale, questo semplice fatto rappresenta una sconvolgente confutazione di tutta la loro visione del mondo. Molti storici e filosofi borghesi tendono quindi a ignorare del tutto l’argomento. Coloro che raccolgono il guanto di sfida contro il nostro passato comunista spiegano le origini della disuguaglianza con la nostra natura avida e oppressiva, che si afferma dopo migliaia di anni di letargo. Dovremmo definire questa posizione per quello che è: la falsa imposizione della morale capitalista su tutta la storia umana. In realtà, come osserva Marx nella Miseria della filosofia: “tutta la storia non è altro che una continua trasformazione della natura umana”.1

Se vogliamo adottare un approccio genuinamente scientifico allo sviluppo della società, dobbiamo inquadrare la nascita della società di classe non come un infelice incidente, né come il risveglio di una sovra-storica “natura umana” fino a quel momento sopita, ma come una tappa necessaria nella continua evoluzione della società, prodotta in ultima analisi da quella che forse è stata la più grande rivoluzione nelle forze produttive mai conosciuta dall’umanità. E questa non è affatto una questione accademica. Capire la nascita della società di classe, ci permette di cogliere la vera natura delle sue istituzioni e scoprire i mezzi con cui possiamo rovesciarle.

Uomo e natura

Marx ha spiegato che la caratteristica fondamentale della società è il rapporto tra gli esseri umani e la natura. Non si tratta di un astratto ideale, ma di un riconoscimento del tutto pratico del fatto che per sopravvivere gli esseri umani hanno sempre avuto bisogno di risorse che provengono dal mondo che li circonda.

Il nostro rapporto con il mondo naturale è mediato dal lavoro, che svolgiamo socialmente. Attraverso questo processo estraiamo risorse e troviamo le fonti di cibo e dove abitare. È sempre stato vero, nonostante l’imbarazzo di molti archeologi moderni, che gli esseri umani abbiano dovuto lavorare per sopravvivere. Come spiega Marx:

“Il lavoro è perciò una condizione di esistenza dell’uomo, indipendente da tutte le forme sociali, eterna necessità di natura, per mediare il ricambio materiale organico fra uomo e natura.” 2

Ma mentre il fatto che lavoriamo rimane sempre vero nel corso della storia, il modo in cui lavoriamo e i bisogni o desideri che ci sforziamo di soddisfare, sono molto cambiati. Nel corso di milioni di anni, l’umanità ha sviluppato strumenti e tecniche per raggiungere meglio i propri fini. Ma lo sviluppo dei mezzi per soddisfare anche i nostri bisogni più elementari porta necessariamente alla creazione di nuovi bisogni, nuove relazioni sociali e modi di vita totalmente nuovi. Questa costante interazione ha deciso molte cose della nostra esistenza – se ci spostiamo o restiamo in un posto, se lavoriamo tutto l’anno o a stagioni – e ha persino influenzato la nostra fisiologia ed evoluzione. In ogni senso quindi, cambiando il nostro ambiente, cambiamo noi stessi. In questo sta la base di ogni progresso umano.

Fu questo principio fondamentale del materialismo storico che Engels riassunse nel suo discorso sulla tomba di Marx:

“Così come Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo della natura organica, Marx ha scoperto la legge dello sviluppo della storia umana cioè il fatto elementare, sinora nascosto sotto l’orpello ideologico, che gli uomini devono innanzi tutto mangiare, bere, avere un tetto e vestirsi, prima di occuparsi di politica, di scienza, d’arte, di religione, ecc.; e che, per conseguenza, la produzione dei mezzi materiali immediati di esistenza e, con essa, il grado di sviluppo economico di un popolo e di un’epoca in ogni momento determinato costituiscono la base dalla quale si sviluppano le istituzioni statali, le concezioni giuridiche, l’arte e anche le idee religiose degli uomini, e partendo dalla quale esse devono venir spiegate.”3

Marx scrive nel I libro del Capitale: “Sebbene, in nuce, sia già proprio di alcune specie di animali, l’uso e la creazione di mezzi di lavoro caratterizzano il processo lavorativo specificamente umano.”4

Si può osservare in archeologia questa conclusione da che ci sono esseri umani su questo pianeta, e anche prima. Alcuni dei nostri primi antenati ominidi, l’Homo habilis e l’Homo ergaster, creavano strumenti di pietra. Il complesso di strumenti scoperto nella gola di Olduvai in Tanzania, risale a 2,6 milioni di anni fa. Durante tutto il periodo paleolitico (che arriva all’incirca fino al 10.000 a.C.), assistiamo all’emergere di un nuovo complesso di strumenti uno dopo l’altro: achuleano, musteriano, castelperroniano ecc. Possiamo persino tracciare, accanto alla produzione di questi strumenti, lo sviluppo della coscienza e del pensiero complesso. In generale, ogni complesso di strumenti è più simmetrico e richiede una pianificazione più avanzata rispetto al precedente, portando lo sviluppo del cervello degli umani moderni a nuovi livelli.

È un’ulteriore conferma del metodo materialista il fatto che anche gli archeologi non marxisti siano costretti a periodizzare il passato nei termini della cultura materiale che ha prevalso in ogni epoca. Non a caso si parla di Paleolitico (dal greco antico per “pietra antica”), Neolitico (“pietra nuova”), Età del Bronzo ecc. Tutte queste denominazioni si riferiscono ai materiali utilizzati per realizzare gli utensili dai quali dipendeva la produzione in quel momento. Come nota Marx nel I libro del Capitale:

“La stessa importanza che ha la struttura dei reperti ossei per la conoscenza dell’organizzazione delle specie animali estinte, ce l’hanno i reperti dei mezzi di lavoro per giudicare le formazioni economiche delle società estinte. Non che cosa viene fatto, bensì come, con quali mezzi di lavoro distingue le epoche economiche. I mezzi di lavoro non sono solo gradimetri dello sviluppo della forza-lavoro umana, bensì anche indicatori dei rapporti sociali in cui si lavora.”5

Questa idea semplice ma rivoluzionaria non è affatto accettata da tutto l’establishment accademico. In effetti, questo principio basilare del materialismo storico incontra nelle facoltà universitarie lo stesso orrore e indignazione che la teoria della selezione naturale di Darwin incontrava nei salotti vittoriani.

Il risultato è che l’accademia moderna è molto indietro persino rispetto ai filosofi greci antichi nella sua comprensione della società. Sia Platone che Aristotele riconobbero che esisteva una base materiale per il loro tempo libero. Come scrive Aristotele nella Metafisica, le arti teoriche si sono sviluppate in luoghi dove gli uomini avevano molto tempo libero: “per questo motivo le arti matematiche fiorirono dapprima in Egitto, giacché colà veniva concessa un’agiata libertà alla casta dei sacerdoti”.6 Ciò presuppone necessariamente un certo grado di sviluppo della produttività del lavoro, e con esso una riorganizzazione della struttura stessa della società. Ci occuperemo ora degli inizi di questo sviluppo.

Il comunismo primitivo

Gli archeologi hanno trovato pochissime prove di disuguaglianze significative prima del periodo neolitico, iniziato poco meno di 12.000 anni fa. Le prove raccolte dai siti paleolitici di tutto il mondo dipingono un quadro di società piccole, in gran parte nomadi, dipendenti dalla caccia, dalla pesca e dal foraggiamento per la sopravvivenza, in cui è pressoché impossibile trovare la benché minima differenza di ricchezza o status in base ai beni sepolti con i morti.

Naturalmente, non saremo mai in grado di dire esattamente com’erano in dettaglio le società preistoriche di cacciatori-raccoglitori, ma gli studi antropologici sulle società di cacciatori-raccoglitori esistenti, come il popolo !kung del deserto del Kalahari, offrono un’idea di come potevano essere. L’antropologo Richard Leaky scrive:

“I !kung non hanno capi né leader… nessuno dà ordini o li prende… la condivisione pervade profondamente i valori dei raccoglitori !kung proprio come il principio del profitto e della razionalità è centrale per l’etica capitalista.”7

Questa prospettiva è ben attestata nelle comunità di cacciatori-raccoglitori di tutto il mondo e si adatta perfettamente alle prove fornite dai siti paleolitici. Ma l’uguaglianza del nostro passato preistorico non era un fenomeno puramente culturale o morale; alla radice, derivava dal fatto che non esisteva e non poteva esistere proprietà privata oltre al possesso di strumenti e altri oggetti personali. Questi gruppi erano composti da abili ed efficienti cacciatori-raccoglitori, ma vivevano giorno per giorno o anno per anno, senza accumulare alcun surplus significativo. Di conseguenza, non avevano alcun concetto di proprietà terriera o eredità.

Questo può essere visto più chiaramente nelle pratiche degli aborigeni del deserto dell’Australia centrale, spesso considerati una delle più antiche culture ininterrotte sulla Terra, che risale a 50.000 anni fa. Negli anni ‘60, l’antropologo Richard Gould ha trascorso del tempo vivendo con cacciatori-raccoglitori al centro del continente australiano. Ha notato che tutto il cibo riportato al campo veniva “meticolosamente condiviso tra tutti i membri del gruppo, anche quando non era altro che una piccola lucertola”.8 Basandosi sugli scavi di ripari locali sotto le rocce, Gould ipotizzò che gli abitanti di questa regione avessero vissuto in questo modo sin dalla prima occupazione della regione da parte dell’Homo sapiens. Il principio alla base di questa forma estrema, persino assoluta, di comunismo non è difficile da scoprire: la scarsità, causata in ultima analisi dallo stadio relativamente basso di sviluppo delle forze produttive e dal basso livello di controllo sull’ambiente naturale. Anche se altre società di cacciatori-raccoglitori non hanno dovuto affrontare condizioni così dure, lo stesso principio ha prevalso in tutto il mondo paleolitico.

Le donne nel comunismo primitivo (in difesa di Engels)

Un’altra caratteristica del carattere egualitario della società paleolitica è la parità nella posizione delle donne. Come scrive Friedrich Engels nel suo capolavoro L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato:

“La credenza che la donna fosse, all’origine dell’umanità, la schiava dell’uomo, fu una tra le idee più assurde trasmesseci dalla filosofia del XVIII secolo. La donna ha, presso tutti i selvaggi e i barbari degli stadi medio e inferiore, e in qualche parte anche dello stadio superiore, non soltanto una posizione libera, ma altamente stimata.”9

Basandosi sui più recenti studi antropologici dell’epoca, in particolare sullo studio degli Irochesi di Lewis Morgan, Engels avanzò l’idea rivoluzionaria che l’oppressione sistematica delle donne sia in realtà uno sviluppo relativamente recente nella storia della nostra specie. Analizzando non solo la società irochese, ma anche gli antichi ateniesi, romani e tedeschi, sostenne che la “sconfitta storica del sesso femminile” aveva un fondamento economico: la proprietà privata dei mezzi di produzione, in particolare la terra e il bestiame, e la loro accumulazione nelle mani degli uomini.

Inoltre, se l’oppressione delle donne ha avuto un inizio, concludeva Engels, deve quindi avere anche una fine. L’istituzione di una società comunista, senza proprietà privata dei mezzi di produzione e senza sfruttamento di classe, ristabilirebbe la libertà e l’uguaglianza di uomini e donne a un livello più alto che mai. Questa è la prospettiva che da allora ha armato e ispirato i marxisti nella lotta per la liberazione delle donne.

Tuttavia, questa intuizione rivoluzionaria è stata respinta non solo dai difensori di questo sistema, ma anche dalle teoriche femministe, che affermano che l’interpretazione di Engels della società comunista primitiva non è altro che un “mito confortante”. Negli ultimi anni, anche accademici dichiaratamente “marxisti” si sono uniti a questi attacchi alle basi della teoria di Engels. Christophe Darmangeat dell’Università di Parigi, ad esempio, sostiene che “il monopolio maschile sulla caccia e sulle armi ha conferito ovunque agli uomini una posizione di forza rispetto alle donne”, il che significa che “le donne sono state collocate ovunque in una situazione tale da poter essere ridotte al ruolo di semplici strumenti nelle strategie degli uomini”.10

Ciò che è notevole di questo argomento è che, mentre pretende di correggere Engels sulla base di ricerche più moderne, riesce a ripetere esattamente lo stesso falso presupposto che Engels demolì più di 100 anni fa. La prima premessa di Darmangeat è che la caccia e le armi sono sempre state un monopolio maschile. Perché questa tesi sia valida, deve avere un’applicazione universale, cioè deve significare che questo presunto monopolio è esistito sempre e ovunque, senza eccezioni, ma tale affermazione non è possibile, poiché è contraddetta dalla maggior parte della ricerca moderna, anche nelle comunità di cacciatori-raccoglitori che continuano ad esistere. Ad esempio, nell’Aga delle Filippine11, è noto che le donne praticano la caccia con le armi. Più indietro nel tempo, il quadro diventa ancora più complesso, con il recente ritrovamento di attrezzi da caccia nella tomba di una giovane donna adulta nelle Ande12, datata intorno al 7.000 a.C., e le raffigurazioni di donne che cacciano con la lancia nelle prime pitture rupestri di Burzahom, India, datate intorno al 6.000 a.C.13. Tuttavia, anche se accettiamo che la caccia sia stata comunemente una prerogativa maschile, l’argomentazione di Darmangeat contiene una falsità molto più pericolosa: l’assunto che ovunque sia stato così le donne fossero ridotte a “meri strumenti”.

Nessun marxista negherebbe che esistano differenze naturali tra uomini e donne, e che quindi in tutte le società sia esistita una qualche forma di divisione del lavoro tra i sessi. Il fatto che le donne portino avanti la gravidanza e partoriscano bambini ne è un ovvio esempio. A seconda dell’ambiente naturale e delle risorse di una comunità, ciò potrebbe aver significato che gli uomini si allontanavano dal campo, ad esempio partecipando a spedizioni di caccia, mentre le donne tendevano a concentrarsi sulla raccolta di risorse più vicino a casa, portando con sé i bambini. Una tale divisione del lavoro è stata osservata tra i !kung, per esempio.14 Il punto cruciale, tuttavia, è che in tali società occupare una posizione diversa nella divisione del lavoro, in questa fase iniziale, non può essere presentato come prova di oppressione o sfruttamento da parte di un settore della società su un altro. Al contrario, tutte le prove disponibili indicano il contrario. Riferendosi ai !kung, Patricia Draper scrive:

“Gli uomini e le donne dei gruppi di raccoglitori sono egualitari nei loro rapporti reciproci. Li troviamo in genere in gruppi misti nella gestione del campo, sebbene il loro lavoro venga solitamente svolto in gruppi dello stesso sesso. Le donne non mostrano deferenza verso gli uomini. Vivendo in piccoli gruppi senza ruoli di leadership ben sviluppati, arrivano a decisioni consensuali a cui le donne partecipano insieme agli uomini.”15

Le donne qui tratteggiate difficilmente potrebbero essere descritte come “strumenti” di qualcuno. Nulla di tutto ciò. In molti casi, come quello dei !kung, le piante raccolte dalle donne “contribuiscono fino all’80% dell’assunzione giornaliera di cibo della comunità” e “a differenza dei cacciatori maschi, le raccoglitrici mantengono il controllo sulla distribuzione finale degli alimenti che raccolgono”.16 L’antropologo Chris Knight sostiene che, in molte società di cacciatori-raccoglitori, “un giovane non acquisirà mai diritti sessuali permanenti sulla donna che visita regolarmente. Deve invece continuamente guadagnarsene l’approvazione cedendo tutta la carne cacciata a sua suocera perché la distribuisca a suo piacimento”.17 Ancora una volta, chi controlla chi, in questo caso?

Né il possesso di armi, o una maggiore forza fisica, porta necessariamente alla violenza contro le donne. Uno studio del 1989 ha scoperto che i San tradizionali, nomadi o semi-nomadi, erano “una delle sole sei società al mondo in cui la violenza domestica era quasi sconosciuta”.18 Questo è un fatto assolutamente sorprendente se si considera la pandemia permanente di violenza contro le donne che miete decine di migliaia di vite ogni anno in tutto il mondo.

L’immagine degli uomini come “produttori” dominanti e delle donne come “casalinghe” subordinate, è totalmente anacronistica – una concezione della preistoria presa direttamente dai Flintstones. La persistenza di questa idea non ha nulla a che fare con la scienza o la ricerca storica. È semplicemente un riflesso del fatto che coloro che spacciano questo mito sono incapaci di elevarsi al di sopra delle nozioni e dei pregiudizi dell’attuale società di classe. E se si accettano i pregiudizi della società di classe, allora se ne devono in ​​definitiva accettare le conclusioni, rifiutando la possibilità non solo dell’uguaglianza tra uomini e donne, ma dell’instaurazione di una società basata sull’uguaglianza in generale. Insomma, questo presunto argomento scientifico alla fine si riduce a una sola cosa: l’esistenza permanente della società di classe nei secoli dei secoli, amen.

Gli inizi della coltivazione

A volte ci si chiede come l’umanità sia potuta passare da questa società comunista primitiva apparentemente utopica a una società in cui la stragrande maggioranza delle persone è oppressa. L’antropologo Marshall Sahlins ha anche coniato il termine “società benestante originale”, basato sul suo studio sui gruppi di cacciatori-raccoglitori, che lo hanno condotto a concludere che ogni adulto avrebbe dovuto lavorare solo da tre a cinque ore al giorno per raccogliere risorse sufficienti. Sebbene questa sia probabilmente un’esagerazione, basata su una definizione troppo ristretta di lavoro, mette in discussione l’idea che le società di cacciatori-raccoglitori fossero permanentemente sull’orlo della fame. Ma proprio come dovremmo rifiutare il mito hobbesiano della vita come sempre “odiosa, brutale e breve” prima della sua liberazione grazie alla repressione civilizzata dello Stato, dovremmo anche stare attenti a non piegare troppo il bastone nella direzione opposta.

La società paleolitica non esisteva in un Eden di salute e abbondanza. Le popolazioni dell’era glaciale erano necessariamente piccole, con una vita incerta e poco controllo sulle condizioni della loro esistenza. La maggior parte consumava probabilmente il cibo in poche ore o giorni, avendo a che fare con un surplus di prodotto molto limitato, se non del tutto assente. La maggior parte dei gruppi di cacciatori-raccoglitori aveva una bassa aspettativa di vita, così come un basso tasso di natalità. Anche dopo la fine dell’ultima era glaciale, intorno al 9.700 a.C., le comunità di cacciatori-raccoglitori continuarono a misurarsi con scarsità e difficoltà. Per fare solo un esempio, nel sito di Mahadaha in India, datato al 4.000 a.C., l’età stimata di tutti i 13 scheletri trovati è compresa tra 19 e 28 anni, ma “probabilmente molto più vicina a 19”.19 Nessuno aveva più di 50 anni. Allora, come oggi, il motore dello sviluppo era la lotta per conquistare i mezzi per sopravvivere e prosperare di fronte alle avversità: “la produzione e la riproduzione della vita immediata”.20

Proprio come la necessità di migliorare la raccolta di risorse ha incoraggiato lo sviluppo di strumenti di pietra, ha anche spinto gli esseri umani a cercare fonti di cibo più diversificate e affidabili. Questo processo ha poi assunto vita propria quando il clima globale ha iniziato a riscaldarsi circa 20.000 anni fa. In questo periodo, l’aumento delle temperature e dei livelli di umidità, insieme al ritiro delle calotte glaciali, ha aperto agli esseri umani intere regioni e ha notevolmente aumentato la quantità e la varietà delle risorse disponibili. Stimolati da un ambiente in cambiamento, i cacciatori-raccoglitori svilupparono rapidamente nuovi mezzi più sofisticati per acquisire queste risorse, producendo un’esplosione nelle forze produttive dell’umanità.

Gli strumenti di pietra più vecchi come le asce vennero sostituiti da “microliti”, strumenti di pietra molto più piccoli come trapani e punte di freccia.21 Le ossa venivano modellate in aghi sottili per cucire insieme diversi tipi di pelliccia, creando i vestiti caldi e stratificati che gli umani utilizzarono per colonizzare le terre selvagge ghiacciate della Siberia.22 Dalle corna di renna venivano ricavati arpioni per sfruttare la maggiore disponibilità di pesce.23 Si usavano gabbie di vimini per catturare le anguille.24 È stato un salto qualitativo, oltre che quantitativo, nella produttività e nella portata del lavoro umano.

Oltre alla caccia e alla pesca, le persone presero anche ad approfittare dei cibi vegetali selvatici che iniziavano a prosperare nel clima più caldo e umido. La prima raccolta conosciuta di erbe selvatiche risale all’ultima era glaciale, intorno al 21.000 a.C., a Ohalo nell’odierna Israele. Intorno al 14.000 a.C., venivano coltivati il farro e l’orzo selvatici ​​in tutta la regione. Questo sviluppo, che all’epoca poteva sembrare solo un piccolo miglioramento, segnò l’inizio di un processo che avrebbe cambiato irreversibilmente il rapporto dell’umanità con il mondo naturale e, con esso, la vita umana stessa.

La prima coltivazione di cereali e di altre piante era ancora lontana dalla produzione agricola del periodo neolitico. Nella maggior parte dei luoghi era molto più simile a una forma di “giardinaggio selvatico”, in base al quale i coltivatori visitavano regolarmente i siti in cui si sapeva che tali piante crescevano, in modo da poter raccogliere ciò che era disponibile. Ma anche attraverso questa forma apparentemente passiva di raccolta, gli esseri umani stavano attivamente trasformando la natura in modi sia consapevoli che inconsapevoli.

Molte delle piante e degli animali su cui facciamo affidamento oggi come base alimentare non sono sempre esistiti. Mais, fagioli, zucca, cereali e persino maiali, pecore e bovini come li conosciamo oggi, si sono evoluti a causa dell’intervento umano sulla natura lungo molte migliaia di anni. Ad esempio, le erbe selvatiche coltivate in luoghi come Ohalo possedevano grani molto più piccoli del grano che consumiamo oggi. La scoperta di grani più grandi della media a Jerf el Ahmar nella moderna Siria suggerisce che, già nel 13.000 a.C., gli esseri umani stavano deliberatamente riseminando le erbe con grani più grandi per migliorare la resa.25

Ancora più importante, le spighe di queste erbe antiche si staccavano e si disperdevano spontaneamente in momenti diversi, aumentando le loro possibilità di propagarsi con successo. Ma ciò che è buono per l’erba non è necessariamente buono per il raccoglitore. Una gran parte del raccolto potenziale andava persa prima ancora che arrivasse il mietitore. Le moderne colture di cereali hanno un “rachide non disarticolato”, il che significa che le spighe rimangono intatte fino a quando qualcuno non viene a raccoglierle. Questa trasformazione biologica fu il prodotto dell’intervento e dell’innovazione degli esseri umani. Nelle giuste condizioni, la potenziale pressione selettiva creata da deliberati miglioramenti nella tecnica dei raccoglitori si concretizzò nell’evoluzione di nuove specie di grano e orzo, il che rappresentò di per sé un spettacolare sviluppo delle forze produttive.

La rivoluzione neolitica

Oltre a risorse crescenti e al miglioramento degli strumenti e delle tecniche, in questo periodo iniziarono ad apparire i primi insediamenti della storia. Si trattava probabilmente, in un primo momento, di accampamenti semi-permanenti o stagionali in cui le persone tornavano sempre più regolarmente, come Star Carr in Gran Bretagna (risalente circa al 9.000 a.C.).26 Ma alla fine di questo periodo si videro i primi villaggi permanenti al mondo. Un primo esempio lo si trova nel sito “natufiano” di ‘Ain Mallaha nel Levante, datato intorno al 12.500 a.C., dove alcuni esseri umani si stabilirono in modo permanente, basandosi sulla caccia alle gazzelle insieme alla coltivazione di grano selvatico e orzo.27

Tuttavia, anche negli stadi più alti dell’Epipaleolitico (ossia l’ultima parte del paleolitico), gli insediamenti permanenti erano molto rari, e si possono trovare solo in siti con condizioni naturali eccezionalmente favorevoli, come ‘Ain Mallaha, o Poverty Point, nella bassa valle del Mississippi, dove i salmoni risalgono il fiume. In questa fase era molto difficile, e in alcuni casi impossibile, creare condizioni simili altrove, e quindi in una certa misura l’ubicazione degli insediamenti e dei mezzi di sussistenza alla fine rimase passivamente determinata dalla natura. Ma gli sviluppi in atto in quel momento stavano preparando la strada ad una trasformazione sensazionale, in cui l’eccezione sarebbe diventata la regola.

Spesso nella storia le crisi hanno catalizzato profondi processi di cambiamento che si sviluppano sotto la superficie. Queste crisi possono essere sia interne che esterne. Prima dello sviluppo dell’agricoltura nel Vicino Oriente, il mondo era diventato significativamente più freddo, in un ritorno alle condizioni glaciali conosciute come “Dryas recente” (all’incirca dal 11.000 al 9.700 a.C.). Poiché le migrazioni delle mandrie e la comparsa di erbe selvatiche subirono una battuta d’arresto, il modo di vivere di molti gruppi umani divenne impossibile. Certamente alcuni morirono, mentre molti altri dovettero tornare a un modo di vivere più mobile. Ma lo sviluppo precedente, che si era andato accumulando gradualmente nel corso di migliaia di anni, non andò perduto.

Quando le persone abbandonavano gli insediamenti morenti, portavano con sé i cereali raccolti e li seminavano in luoghi completamente nuovi. Si pensa che la creazione di nuovi appezzamenti e la maggiore dipendenza che alcune comunità avevano sviluppato nei confronti della coltivazione di cereali, utilizzando falci di selce, abbiano accelerato il processo di selezione naturale e artificiale che alla fine ha dato vita al grano completamente addomesticato,28 e con esso al mezzo per superare i limiti dei vecchi insediamenti di cacciatori-raccoglitori. Possiamo vedere chiaramente questo processo ad Abu Hureyra, nell’odierna Siria, dove le persone hanno risposto al clima che diveniva più freddo con la coltivazione intensiva della segale selvatica, ottenendo il più antico cereale domestico mai trovato, datato a circa il 10.500 a.C.29

A partire dal 9.500 a.C. circa, le popolazioni del Levante e della Turchia sud-orientale tornarono a una vita stabile, ma questa volta a un livello qualitativamente superiore, basato su cereali e animali domestici come pecore e capre, anch’essi trasformati dall’intervento consapevole dei cacciatori diventati pastori. Intorno all’8.000 a.C., questo nuovo modo di vivere si era diffuso in tutto il Vicino Oriente e presto fu adottato in Europa e nell’Asia meridionale. L’agricoltura stanziale sorse indipendentemente anche in altri luoghi, tra cui la Cina, in diverse parti dell’Africa e nelle Americhe. L’archeologo marxista, V. Gordon Childe, definì questo processo la “rivoluzione neolitica”.

Per gli accademici borghesi, la descrizione di qualsiasi cosa come una “rivoluzione” suona troppo marxista per un libro di testo di archeologia. Dunque preferiscono definire l’addomesticamento e lo sviluppo dell’agricoltura come “transizione neolitica”, perché è stato un processo che si è sviluppato in un lungo periodo di tempo. Questo è un modo infantile di intendere la storia. L’esplosione cambriana (un periodo di rapida diversificazione della vita animale complessa e multicellulare) ha avuto luogo nell’arco di dieci milioni di anni, ma è stata comunque esplosiva rispetto ai miliardi di anni di evoluzione incredibilmente lenta che l’hanno preceduta. La rivoluzione neolitica fu una trasformazione altrettanto massiccia e rapida dal punto di vista della società umana. L’Homo sapiens esisteva da circa 300.000 anni, ma questi sviluppi ebbero luogo in poche migliaia di anni e furono del tutto sconvolgenti, dando vita a un nuovo modo di vivere, un nuovo modo di produzione e, con esso, una nuova fase nella storia del genere umano.

Il ruolo delle idee

Un’altra obiezione alla rappresentazione “tradizionale” della rivoluzione neolitica mira ad attaccare le sue conclusioni materialistiche. Guardando indietro a questi processi da una distanza di oltre 10.000 anni, è facile vedere il profondo impatto che gli sviluppi nel lavoro e nella tecnica hanno avuto sia sulla natura che sulla società. Ma proprio come la nozione di una “rivoluzione” neolitica odora troppo di marxismo per l’establishment accademico di oggi, questa conferma delle idee più basilari del materialismo storico è troppo da sopportare per alcune menti “scientifiche”. Ad esempio, Anthony Giddens, il sociologo dietro la “Terza via” di Tony Blair, sostiene che poiché in alcuni luoghi l’insediamento è precedente all’arrivo dell’agricoltura, lo sviluppo delle forze produttive non può essere considerato il fattore determinante nella rivoluzione neolitica – e nella storia in generale. Giddens scrive:

“La vita sociale umana non inizia né finisce nella produzione. Quando Mumford definisce l’uomo un ‘animale capace di pensare, padroneggiare se stesso e auto-progettarsi’, e quando Frankel vede nella vita umana una ‘ricerca di significato’, sono più vicini a fornire le basi per un’antropologia filosofica della cultura umana di quanto lo fosse Marx.”30

Si è detto che il sito scoperto da non molto a Göbekli Tepe, nel sud-est dell’Anatolia (moderna Turchia), fornirebbe ulteriori prove di questa concezione idealistica della storia. Il sito è datato al 9.600 a.C., all’inizio del periodo neolitico, e presenta grandi altari in pietra che suggeriscono chiaramente l’esistenza di un certo grado di specializzazione e di tempo di lavoro in eccesso da dedicare alla costruzione del sito. Ci sono anche molte prove che suggeriscono che questo sito fosse in uso tutto l’anno. Tuttavia, l’abbondanza di ossa di animali selvatici e l’assenza di animali domestici suggerisce che le persone che hanno costruito questo “tempio” fossero cacciatori-raccoglitori. Questa straordinaria scoperta ha provocato una fiumana di articoli trionfanti che dichiarano la morte del materialismo. Sostengono che le persone si stabilirono in questo insediamento, non per via dello sviluppo dell’agricoltura o di qualsiasi altra cosa legata alla produzione, ma prima per scopi religiosi e solo dopo svilupparono l’agricoltura come mezzo per nutrire la congregazione. “Penso che ciò che stiamo imparando è che la civiltà è un prodotto della mente umana”,31 ha annunciato l’archeologo principale del sito, Klaus Schmidt.

Ma l’intuizione che la civiltà è un “prodotto della mente” non è così profonda come potrebbe pensare il suo autore. Anche la macchina a vapore è stata un prodotto della mente, così come la catena di montaggio e ogni prodotto che troviamo in una fabbrica. La falce di selce fu un prodotto della mente. Se anche il materialista più militante si prepara da mangiare, lo fa perché ha avuto l’idea di farlo. Ma questo non ci dice assolutamente nulla oltre al fatto incontrovertibile che tutte queste cose sono state create da esseri umani coscienti.

Come disse Engels, “Tutto ciò che mette in movimento gli uomini deve passare attraverso il loro cervello; ma la forma che questo assume nel loro cervello dipende molto dalle circostanze”.32 È necessario chiedersi perché le persone che hanno costruito Göbekli Tepe hanno scelto, in primo luogo, di costruire un luogo di culto così grande e permanente, e poi perché hanno scelto di fare ricorso alla coltivazione del grano per sostenersi. L’attività rituale è stata importante per tutto il Paleolitico e oltre, come mezzo per comprendere e controllare il mondo naturale, e la raccolta del grano selvatico risale a 23.000 anni fa. Quindi perché uno sviluppo simile non si è verificato durante l’ultima era glaciale? La spiegazione, in definitiva, si può trovare solo nello sviluppo delle forze produttive: il rapporto dell’uomo con la natura, mediato dal lavoro, dai suoi strumenti, dall’organizzazione e dalla tecnica.

I mezzi per la coltivazione permanente di colture e animali domestici erano stati preparati in seno alla vecchia società di cacciatori-raccoglitori nel corso di migliaia di anni prima della costruzione di Göbekli Tepe. Come notato sopra, i chicchi di segale addomesticati sono stati fatti risalire fino al 10.500 a.C. Inoltre, scavi più recenti nel sito hanno rivelato prove dell’esistenza sia di edifici domestici33 che del consumo di cereali selvatici34, che erano stati tralasciati o ignorati dall’approccio idealista di Schmidt. Ciò significa che Göbekli Tepe non era solo un tempio: era un insediamento, che alla fine si dedicò all’agricoltura come mezzo per superare i limiti della produzione dei cacciatori-raccoglitori. Ciò non fa che rafforzare la conclusione che gli affascinanti altari e le pratiche religiose delle persone che vi abitavano avessero una base materiale. Come il popolo di Tell Abu Hureyra, che di fronte alle avversità si rivolse alla coltivazione intensiva della segale, la cultura che ha creato Göbekli Tepe segna un punto cruciale nella rivoluzione neolitica, in cui la necessità di una nuova forma di organizzazione sociale è riflessa nelle azioni coscienti degli individui. Tale è il corso di ogni autentica rivoluzione sociale. Le idee, i desideri e le nozioni religiose di quegli individui non scaturivano passivamente e direttamente dai loro strumenti – erano il prodotto delle menti di esseri umani reali, viventi – ed ebbero senza dubbio un effetto decisivo sulla forma di questo processo. Ma il vero contenuto di questo processo derivava ancora dai cambiamenti in atto nel loro ambiente, nella loro società e nel lavoro su cui si fondava: “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.”35

Un nuovo mondo

Marx scrive nel Capitale: “né le epoche della geologia né quelle della storia si possono dividere in astratto con linee di demarcazione rigorose”.36 In questo senso, i primi villaggi del periodo neolitico sarebbero sembrati molto simili ad alcuni degli insediamenti di cacciatori-raccoglitori emersi alla fine del paleolitico. In alcuni casi, le comunità neolitiche saranno anche potute essere relativamente mobili, stabilendosi temporaneamente per coltivare un appezzamento di terra, per poi passare a un nuovo appezzamento una volta esauritosi il suolo nel giro di alcune stagioni, come fu osservato tra gli Irochesi da Morgan. La caccia, la pesca e la raccolta continuarono insieme alla coltivazione del grano. Ci vollero diverse centinaia di anni prima che i cambiamenti fondamentali che stavano operando nella società diventassero evidenti.

Uno di questi cambiamenti è stato un marcato aumento delle dimensioni e del numero degli insediamenti. Si pensa che l’insediamento medio natufiano abbia ospitato tra le 100 e le 150 persone: un numero considerevole per gli standard dei gruppi di cacciatori-raccoglitori, ma minuscolo rispetto agli insediamenti neolitici che sarebbero emersi dal 9.500 a.C. in poi. Anche un piccolo villaggio neolitico tendeva ad ospitare circa 250 persone,37 circa il doppio della media natufiana. Gerico, forse il più antico insediamento ancora esistente, vantava una popolazione anche di un migliaio di persone nel 9.000 a.C., solo poche centinaia di anni dopo l’inizio del neolitico. Questo fu possibile solo sulla base di uno spettacolare balzo in avanti delle forze produttive.

L’agricoltura stanziale non solo ha favorito una maggiore concentrazione di persone, ma ha anche favorito la crescita della popolazione in generale. Questo vantaggio riproduttivo è stato sostanzialmente compensato dai più alti tassi di mortalità infantile e generalmente dalla minore aspettativa di vita degli agricoltori neolitici, causati da una dieta più ristretta e dall’esplosione di malattie prima sconosciute: il lato più oscuro di una vita sedentaria che pone talvolta migliaia di persone e animali a stretto contatto. Tuttavia, nonostante i problemi che derivarono dal nuovo modo di vivere stanziale, il tasso di natalità più elevato continuò a produrre sia dimensioni più grandi degli insediamenti agricoli che una loro maggior diffusione, a spese dei gruppi nomadi di cacciatori-raccoglitori. In Gran Bretagna, si pensa che i migranti dal continente abbiano introdotto l’agricoltura a partire dal 4.000 a.C. circa, sostituendo il vecchio stile di vita su tutta l’isola nell’arco di 2.000 anni,38 un periodo molto breve per gli standard preistorici.

Con il mutato modo di produzione della vita materiale, presero forma anche nuove forme ideologiche e religiose. Ne è un esempio l’ascesa di quelli che vengono interpretati come culti degli antenati, come i teschi intonacati trovati a Gerico e la sepoltura dei parenti defunti nei pavimenti delle case.39 L’idea che i propri antenati rimangano con la famiglia, a volte letteralmente all’interno della casa, e proteggano i loro parenti viventi, è ben attestata da tempi molto antichi anche nella cultura cinese. Ciò si adatterebbe bene al fatto che la famiglia lavorava le stesse terre con continuità e prevedendo di rimanervi.

Il passaggio all’agricoltura stanziale iniziò a incidere anche sulla divisione del lavoro all’interno della famiglia. Un tasso di natalità molto più alto significava che le donne dovevano trascorrere più tempo gravide, a partorire e a prendersi cura dei bambini, con ciò potendo dedicare meno tempo per il lavoro nei campi. Resti di un certo numero di siti neolitici suggeriscono che in molti luoghi questo sviluppo, combinato con il lavoro più intenso e la supervisione costante richiesta per i campi e le greggi, portò a una divisione più rigida delle responsabilità all’interno della famiglia.

Man mano che diventava più importante la coltivazione dei cereali, diventava anche più importante la lavorazione del grano e dell’orzo. A Tell Abu-Hureyra, il sito che abbiamo menzionato sopra, gli scheletri femminili avevano l’artrite alle dita dei piedi perché trascorrevano ore in ginocchio, dondolandosi avanti e indietro e usando il loro peso corporeo per macinare il grano e trasformarlo in farina.40 Una simile divisione del lavoro è stata scoperta in un sito neolitico in Cina, datato al 5.000-6.000 a.C., dove le sepolture maschili tendevano a includere “strumenti di pietra per l’agricoltura e la caccia”, mentre le tombe femminili “mancano di questo tipo di manufatti, ma includono strumenti per macinare il grano”.41 Questa evidenza, insieme ad altri studi, ha portato molti antropologi a tracciare un legame tra l’ascesa dell’agricoltura stabilizzata e la tendenza delle donne a svolgere “lavori domestici” in casa.

Tuttavia, questo “lavoro domestico” non era affatto secondario o ancillare rispetto al lavoro degli uomini. Le case neolitiche hanno spesso aree specifiche per la tessitura. La fabbricazione di utensili, sebbene di solito descritta come “lavoro da uomini”, avveniva anche intorno alla casa o al villaggio, e in molti casi spettava alle donne della famiglia. In effetti, studi antropologici sui Konso, un gruppo etnico prevalentemente agricolo in Etiopia, in cui coloro che lavorano le pelli sono tra le ultime persone al mondo ad utilizzare strumenti di selce su larga scala, indicano che in queste comunità sono le donne solitamente quelle che creano gli strumenti.42 La famiglia neolitica era tanto un laboratorio quanto una casa, e le prove suggeriscono che le donne si trovavano sempre più al centro di essa.

Il cambiamento nella divisione del lavoro all’interno della famiglia non fu né automatico né assoluto. Ci sono molte prove di società in cui uomini e donne svolgevano approssimativamente la stessa quantità di lavoro all’interno e all’esterno della famiglia, come l’importantissimo sito neolitico di Çatalhöyük43 nella moderna Turchia. Ci sono state anche molte società in cui l’agricoltura tendeva ad essere svolta dalle donne invece che dagli uomini, come gli Irochesi documentati da Morgan. Sarebbe quindi eccessivamente riduttivo e falso tracciare un collegamento automatico e semplicistico tra l’agricoltura in generale e la tendenza a concentrare il lavoro delle donne maggiormente in casa. Inoltre, non possiamo interpretare questi cambiamenti nella divisione del lavoro all’interno della famiglia come una solida prova dell’esistenza dell’oppressione sistematica delle donne e del patriarcato, che sarebbero diventati in seguito il segno distintivo di tutti i popoli “civili”. Sebbene sembri che le donne fossero più propense a lavorare a casa, il loro lavoro era molto apprezzato nella loro società e godevano dello stesso status degli uomini. Sono stati trovati molti cimiteri neolitici che contengono un numero uguale di corpi maschili e femminili, senza alcuna distinzione evidente di ricchezza o status tra loro, come Midhowe Cairn nelle Orcadi.44

Ciò che indicano Tell Abu-Hureyra e altri siti neolitici, è la comparsa precoce ed embrionale di nuove relazioni all’interno della società neolitica, che tendevano a collocare le donne più regolarmente in casa. Di per sé, questo cambiamento nella divisione del lavoro non ha posto le donne in uno stato di dipendenza o oppressione, ma nel corso dell’ulteriore sviluppo – poiché il lavoro e la supervisione richiesti dalla produzione agricola sono diventati sempre più intensi – questa tendenza sarebbe diventata sempre più pronunciata, gettando infine le basi per un cambiamento ancora maggiore nei rapporti tra uomini e donne. Ma questo non avvenne durante il neolitico: fu necessaria la nascita di una società di classe prima che questi sviluppi si trasformassero nell’oppressione sistematica delle donne.

La comune di villaggio

Nonostante i segni embrionali di disuguaglianza riscontrati nel periodo neolitico, le relazioni sociali erano ancora di natura comunista: vediamo poche o nessuna prova di proprietà privata, sfruttamento di classe o ricchezza ereditata. Engels delinea le strutture sociali di queste società senza classi in L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato:

“Senza soldati, gendarmi, poliziotti, senza nobiltà, senza re, governanti, prefetti, giudici, senza prigioni e processi, tutto procede regolarmente…l’economia domestica è comune a una serie di famiglie e comunista, la terrà è proprietà della tribù; solo i piccoli orti sono inizialmente assegnati alle economie domestiche, non esiste tuttavia qualcosa di simile al nostro sistema amministrativo, vasto e complesso….Non possono esistere poveri o bisognosi: l’economia comunista e la gens conoscevano i loro obblighi nei confronti dei vecchi, dei malati e dei feriti di guerra. Tutti sono uguali e liberi, anche le donne. Non vi è posto per gli schiavi, e per regola generale nemmeno per l’assoggettamento di tribù straniere.”45

Engels, seguendo Morgan, chiamò “barbarie” questa fase dello sviluppo della società umana che iniziò con lo sviluppo dell’agricoltura, l’addomesticamento degli animali e la ceramica. Per le persone che vivevano in queste prime comunità agricole, che conservavano la morale e le norme culturali della comune, qualsiasi altro modo di vivere sarebbe stato impensabile.

Un importante elemento di prova che lo evidenzia è l’emergere di sepolture di gruppo, in cui tutti gli individui sono sepolti in comune senza riguardo alla distinzione sociale o allo status. Midhowe Cairn nelle Orcadi, citato sopra, ha almeno 25 individui sepolti insieme. Un monumento che richiese l’utilizzo di molte risorse come questo, con più camere di pietra separate, non riflette una mancanza di rispetto per gli individui sepolti all’interno. Si adatta alla moralità di una società che era essa stessa comunitaria.

Anche i grandissimi insediamenti neolitici erano organizzati su base comunitaria. Çatalhöyük, menzionato sopra, ospitava circa 10.000 persone al suo apice, intorno al 7.000 a.C. Consisteva in case ammassate, in cui ogni famiglia operava come un’unità individuale, con sepolture sotto il pavimento piuttosto che in cimiteri comuni. Ma nonostante questa relativa indipendenza della famiglia, le case mostrano poche differenze di dimensioni, suggerendo differenze minime o nulle in termini di ricchezza o status.

La natura egualitaria della comune neolitica ha portato alcuni a mettere in dubbio il legame tra la rivoluzione neolitica e l’ascesa della società di classe. Molte comunità neolitiche sono sopravvissute per migliaia di anni senza lavoro forzato, tassazione o addirittura una minima disuguaglianza. Quindi fino a che punto possiamo dire che l’ascesa della società di classe era inevitabile o inerente alla produzione neolitica? Marx, come noto, ha spiegato che lo sviluppo all’interno di un modo di produzione crea necessariamente le condizioni per il suo rovesciamento da parte di nuovi rapporti:

“Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza.”46

L’inevitabilità della società di classe sta nel fatto che proprio lo sviluppo della produzione neolitica ha preparato le condizioni stesse su cui si è basata l’ascesa della società di classe: la divisione sempre più complessa del lavoro nella società e, cosa più importante di tutte, la crescita del plus-prodotto.

Ci concentreremo in gran parte sugli sviluppi nel Vicino Oriente. Non stiamo sostenendo che ogni sviluppo che ha avuto luogo in questa regione sia un modello esauriente per l’ascesa di tutte le società di classe, ma nell’esporre il processo in tutte le sue fasi in una singola regione, speriamo di farne emergere tutti i suoi elementi più basilari.

La crescita del surplus

Man mano che la comunità neolitica continuava a svilupparsi, crescendo sia in dimensioni che in capacità produttiva, c’erano più risorse da organizzare e decisioni più complesse da prendere. In effetti, tutta la storia del neolitico potrebbe essere riassunta nella domanda: “Cosa fare con il surplus?”

Un modo in cui le comunità neolitiche organizzavano il loro prodotto in eccesso, era quello di conservarlo per il futuro. I villaggi del neolitico, come Jerf el Ahmar in Siria47, ospitavano generalmente depositi gestiti e controllati dall’intera comunità. L’eccedenza assumeva anche la forma di una maggiore quantità di tempo di lavoro che poteva essere dedicato a compiti diversi dalla sussistenza. Gli abitanti di Gerico, ad esempio, utilizzarono il loro tempo e le loro energie in eccesso nella realizzazione di massicci progetti comuni, come la costruzione della grande torre e delle mura,48 che sono molto antichi, essendo datati all’8.000 a.C. La crescita del surplus aumentò anche il commercio tra le comuni neolitiche in gran parte autosufficienti, che iniziarono a gettare le basi per una divisione regionale del lavoro e l’interdipendenza degli insediamenti in una fase successiva.49

La risposta più significativa alla crescita della produzione di surplus fu l’emergere di una nuova divisione sociale tra lavoro intellettuale e manuale: la mano e la mente. La crescente produttività del lavoro consentì la liberazione di una piccola parte della società dalle esigenze del lavoro fisico nei campi. Questo sviluppo, il prodotto finale del neolitico, fornì le basi per le prime società di classe dell’umanità. La sua storia è quindi di particolare importanza.

A partire dal 7.000 a.C. circa, i popoli neolitici del Vicino Oriente iniziarono a trasferirsi in altre aree meno ospitali ma più fertili, come la Mesopotamia (l’Iraq moderno), dove si sarebbero poi sviluppati i primi Stati. Ciò solleva la questione del ruolo dell’ambiente nello sviluppo storico. Evidentemente nel ricambio organico tra uomo e natura di cui parlano Marx ed Engels, il nostro ambiente naturale è estremamente importante. Nella società preistorica, gran parte dello sviluppo tecnologico e sociale dell’umanità appare come risposta a pressioni ambientali esterne. Tuttavia, questa è solo una parte della storia, in cui in definitiva l’attività degli esseri umani gioca il ruolo da protagonista.

Si dice spesso che la civiltà, o la società di classe, sia stata il prodotto dei terreni fertili che circondavano il Tigri, l’Eufrate, il Nilo, il Fiume Giallo o l’Indo. Ma la produttività del suolo mesopotamico non sarebbe rimasta altro che una semplice possibilità se gli esseri umani non avessero sviluppato i mezzi per coltivarla. Nel 7.000-6.000 a.C., gran parte della Bassa Mesopotamia era resa inospitale dalle paludi acquitrinose che la ricoprivano. Inoltre, la mancanza di materiali importanti come il legno e (successivamente) il rame rendeva molto difficile l’insediamento in luoghi come la Bassa Mesopotamia senza accesso a reti commerciali molto distanti. Questi mezzi furono forniti dallo sviluppo delle forze produttive durante il neolitico.

L’uso dell’irrigazione era già presente sia a Gerico che a Çatalhöyük come mezzo per integrare la produzione. Intorno al 7.000 a.C. questi insediamenti entrarono in declino, ma gli sviluppi che si erano verificati lì non andarono perduti, poiché questa tecnologia alla fine si diffuse nella pianura mesopotamica. La prima prova dell’agricoltura irrigua in Mesopotamia è stata trovata a Choga Mami50, datata intorno al 6.000 a.C. Ma l’insediamento, e la cultura di Samarra di cui faceva parte, avevano ancora tutte le caratteristiche del primo neolitico. Quando i coloni, ritenuti originari dell’altopiano iranico, iniziarono ad applicare questa nuova tecnologia alle paludi molto fertili della Bassa Mesopotamia, tuttavia, gettarono le basi per un radicale cambiamento nella divisione sociale del lavoro, che sarebbe culminato nella nascita della società di classe.

La rivoluzione urbana

La rivoluzione urbana nel Vicino Oriente non iniziò con grandi insediamenti neolitici come Gerico, ma con piccoli villaggi che, pur senza pretese all’epoca, possedevano un grande potenziale di sviluppo. I livelli più bassi del sito di Eridu, nel sud dell’Iraq, sono stati datati intorno al 5.800 a.C. Ciò che rende significativo questo insediamento non è solo il fatto che fu uno dei primi ad utilizzare i canali di irrigazione per drenare l’acqua paludosa in eccesso, ma che contiene le prime testimonianze di “edifici esclusivamente dediti ad attività cultuali”.51 Queste “cappelle”, come talvolta vengono chiamate, furono la manifestazione fisica di un cambiamento epocale nei rapporti sociali: l’ascesa dei sacerdoti.

L’irrigazione deve aver avuto un enorme effetto sulla vita e sulla coscienza dei primi abitanti di Eridu, ma richiese anche un profondo cambiamento nella loro organizzazione del lavoro. Lo scavo dei canali richiedeva non solo il lavoro di molti lavoratori, ma anche un certo grado di pianificazione e direzione. Questo lavoro non poteva essere svolto efficacemente da famiglie indipendenti, che lavoravano da sole; richiedeva la cooperazione di un numero relativamente elevato di lavoratori sotto la direzione di un qualche tipo di capi.

Come commenta Marx nel Capitale: “Ogni lavoro immediatamente sociale o in comune su scala considerevole ha bisogno, più o meno, di una direzione che sia mediatrice dell’armonia fra le attività individuali.”52 Che questo ruolo sia stato svolto per primi dai sacerdoti non è sorprendente. Anche nella società dei cacciatori-raccoglitori, gli sciamani o altri leader spirituali spesso detenevano una posizione relativamente privilegiata nella divisione sociale del lavoro, così da potersi dedicare alla comprensione e alla padronanza dell’ambiente naturale in cui la comunità viveva. Gli individui che avevano la più grande comprensione dei segreti della natura e del divino erano naturalmente considerati i migliori candidati per assicurarsi le benedizioni della divinità. Ma anche la divinità era essa stessa un prodotto della storia. La credenza che esistano dei onnipotenti che intervengono negli affari degli esseri umani, e che devono quindi essere adorati, era molto rara tra le società di cacciatori-raccoglitori e si pensa che fosse assente prima del neolitico.53 In definitiva, la nozione di un dio come la più alta “autorità in comando” immaginabile era di per sé il riflesso ideologico del crescente controllo di una parte della società non solo sulle forze naturali, ma anche sugli esseri umani.

Né questo sviluppo fu il prodotto di condizioni unicamente mesopotamiche. Il compito cruciale di predire le inondazioni del Nilo era di dominio dei sacerdoti egiziani e divenne la successiva fonte del loro potere. Anche i sacerdoti Maya della penisola dello Yucatan erano tenuti a sovrintendere ai sacrifici e alle cerimonie che assicuravano il favore dei sacri cenotes (cavità naturali che si riempiono di acque sotterranee), l’unica fonte di acqua dolce in una regione senza fiumi. Possiamo anche vedere un processo simile svolgersi con l’ascesa della casta dei bramini nell’India vedica: un gruppo che sarebbe rimasto l’élite sociale per migliaia di anni.

La separazione di una parte della società, sostenuta dal surplus prodotto dal resto della comunità e che ne dirige il lavoro, segna un punto di svolta nella storia dell’umanità. A seguito di questo sviluppo il neolitico in Mesopotamia volge al termine e vediamo l’inizio di quella che Gordon Childe chiamerà la “rivoluzione urbana”. Tuttavia, va sottolineato che Eridu nel 5.800 a.C. non era certo una società di classe: sia la produzione che la distribuzione rimanevano essenzialmente comuniste. L’unica costrizione su cui i sacerdoti potevano contare era l’accettazione da parte della comunità, o almeno della maggioranza dei suoi membri. In tutti gli esempi che abbiamo fatto, il ruolo svolto dalla “casta” sacerdotale era inizialmente di beneficio per l’intera comunità, come quello di un servitore, per quanto privilegiato, della comunità. Ma a un certo punto questo servitore sarebbe diventato un usurpatore.

La nuova organizzazione del lavoro trovata a Eridu fornì un ulteriore stimolo allo sviluppo delle forze produttive. I grandi appezzamenti di terreno coltivabile, che erano stati creati dall’irrigazione, consentirono l’uso efficace dell’aratro trainato da buoi, che fece un’enorme differenza per la produttività del lavoro dell’epoca. L’accresciuto approvvigionamento idrico di queste terre diede anche origine ai primi esperimenti di arboricoltura, con la coltivazione della palma da dattero.54 Sulla base di questi sviluppi fiorì la “cultura Ubaid”, dal nome del sito di Tell al-’Ubaid in Iraq, che durò dal 5.100 al 4.000 a.C. Questo periodo vide la proliferazione di insediamenti agricoli lungo i canali di irrigazione, tutti dotati di uno stile comune di ceramica di altissima qualità. Molti di questi insediamenti avevano una struttura centrale nel tempio, sulla stessa linea di Eridu, ma i templi del periodo Ubaid erano molto più significativi.

È evidente dall’archeologia che la maggiore produzione di surplus, in gran parte sotto forma di grano, stava contribuendo non solo alla maggiori dimensione e ricchezza della comunità nel suo insieme, ma anche al peso sociale del suo organo centrale e direttivo. I singoli sacerdoti possono non aver acquisito molta ricchezza per se stessi in quella fase, ma l’istituzione del tempio certamente dominava una proporzione sempre maggiore del lavoro sociale e del suo prodotto in eccesso. Ciò non sarà necessariamente apparso come una rottura fondamentale con le norme egualitarie del passato. Dopotutto, se la benevolenza della divinità custode aveva precedentemente fornito nuove terre e abbondanti raccolti, a chi se non ad essa doveva andare il surplus in segno di ringraziamento?

Inoltre i sacerdoti non sprecavano la ricchezza degli dei. Nel periodo Ubaid troviamo prove di artigiani sempre più specializzati, e alla fine di questo periodo emerse uno strato di specialisti a tempo pieno le cui officine facevano parte del complesso del tempio.55 Da ciò possiamo dedurre un rapporto di dipendenza, in cui gli artigiani erano effettivamente impiegati dal tempio in cambio di prodotti come ceramiche, manufatti in rame e pietre semi-preziose. Anche qui vediamo lo sviluppo di nuovi rapporti produttivi svilupparsi nel grembo di quelli vecchi.

La cultura Ubaid si diffuse in gran parte della Mesopotamia e oltre. Tuttavia, non costituiva in alcun modo qualcosa di simile a un “impero” unificato o anche solo a uno Stato. Non ci sono prove che i vari insediamenti ispirati a Ubaid che troviamo in tutta la regione siano stati conquistati o colonizzati dagli insediamenti originali di Ubaid. Ciò che è molto più probabile è che, accanto a una rete sempre più sofisticata di commercio di ceramiche, rame, ossidiana (una pietra vulcanica utilizzata per fabbricare lame affilate), pietre semi-preziose e altri particolari beni commerciali, sia cresciuta una più stretta interazione culturale, in cui la ricchezza di insediamenti come Eridu ha ispirato altre comunità ad adottare tecniche produttive simili, senza mai essere “governate” da loro o da nessun altro.

La società Ubaid appare già radicalmente diversa dai villaggi del primo neolitico. Eppure, per una serie di aspetti fondamentali, la società Ubaid rimase più vicina nel carattere al comunismo primitivo che alla società di classe. Nonostante la distribuzione sempre più ineguale della ricchezza all’interno della comunità e il crescente potere dei sacerdoti come amministratori del surplus, la comunità stessa rimase indipendente da tutte le altre, democratica e libera dal lavoro forzato. Ciò che vediamo nel tardo periodo Ubaid potrebbe quindi essere definito come una sorta di società di transizione, contenente allo stesso tempo importanti elementi sia della società di classe che della società comunista primitiva. E dai rapporti sviluppati all’interno della società Ubaid sarebbe sorta la prima società di classe, basata sul governo della città sul villaggio, e dell’uomo sull’uomo: Uruk.

La prima società di classe

Uruk è uno dei primi Stati al mondo, in competizione solo con l’Antico Egitto per il titolo definitivo di Stato più antico. La città di Uruk iniziò la sua vita come un paio di villaggi Ubaid intorno al 5.000 a.C. Come altri insediamenti del periodo, erano incentrati su complessi di templi relativamente grandi: uno dedicato ad Anu (“il cielo”), dio del cielo, e uno a Inanna (“la signora del cielo”), dea dell’amore. Nel corso del tempo, la crescita di questi villaggi li portò a fondersi in un’unica enorme città, che nel 3.100 a.C. circa ospitava l’incredibile cifra di 40.000 persone.

Man mano che Uruk cresceva, insieme alla sua popolazione di artigiani specializzati e dipendenti, l’antica autosufficienza – e quindi l’indipendenza – della comune iniziò a crollare. La concentrazione della produzione artigianale nei centri urbani e della produzione alimentare nei villaggi fece sì che i più grandi insediamenti non potessero più dipendere dalla propria popolazione per la produzione di cibo e così iniziarono a prendere parte del prodotto in eccedenza dai villaggi circostanti.56 Da questo clamoroso cambiamento nella divisione sociale del lavoro sorse la prima separazione tra città e campagna. Marx considerava questa separazione così importante per lo sviluppo della società di classe che affermava che “l’intera storia economica della società si riassume nel movimento di questa opposizione”.57

L’eccedenza dei villaggi prendeva probabilmente la forma di un’offerta per gli dei che risiedevano nei rispettivi templi, ma c’era anche qualcosa di “contrattuale”. I contadini ricevevano in cambio prodotti artigianali e altri beni che altrimenti sarebbero stati inaccessibili. Alla fine, questa relazione si trasformò da interdipendenza complementare a sfruttamento totale, sotto forma di “decima” dovuta ai templi di Uruk dai villaggi circostanti, pagata in natura indipendentemente dal fatto che i contadini ricevessero qualcosa in cambio, e prelavata con la forza se necessario. Oltre al surplus di prodotto, la burocrazia del tempio rivendicava anche il surplus di tempo di lavoro della massa della popolazione. A Uruk assistiamo alla trasformazione della quantità in qualità, con il controllo diretto e lo sfruttamento del lavoro su scala di massa, non più attraverso le vecchie strutture comunitarie del villaggio e della famiglia, ma da parte di una classe distinta, che sta al di sopra e usurpa la comune.

Questo punto di svolta si manifesta praticamente nella ceramica del periodo. In contrasto con le ciotole e i vasi sapientemente realizzati della cultura Ubaid, i manufatti in ceramica più comunemente trovati a Uruk sono grezzi, “ciotole con il bordo smussato”. Ma questo non era un passo indietro come si potrebbe sembrare; Uruk era fiorente e i suoi vasai erano impegnati a creare il primo oggetto prodotto in serie nella storia. Utilizzando stampi standardizzati, artigiani specializzati potevano produrre migliaia di queste ciotole in un breve periodo di tempo.

Ma chi usava queste ciotole? La spiegazione più accreditata è che fossero usate per distribuire razioni a squadre di lavoratori a cui erano imposte corvée, molto probabilmente contadini dei villaggi circostanti che erano stati arruolati per lavorare su progetti come scavare canali di irrigazione o erigere mura cittadine, e per svolgere lavoro stagionale nelle terre del tempio.58 L’enorme numero di tali ciotole scoperte a Uruk e in altri siti del periodo attesta le dimensioni della forza lavoro e la portata dei progetti. Gli operai venivano probabilmente arruolati da diversi villaggi e gruppi familiari, per lavorare per persone che non conoscevano, su progetti che avrebbero conferito poco o nessun vantaggio diretto a se stessi o alle loro famiglie. Cominciavano a prendere forma nuovi rapporti di classe, al di fuori delle vecchie strutture comunitarie.

I mutamenti in atto nei rapporti di produzione alla base della società cominciarono a produrre mutamenti nei rapporti di proprietà. Prima del periodo Uruk, tutta la terra apparteneva collettivamente alla famiglia e non poteva esserle sottratta. Ciò significa che i terreni rimanevano sempre in possesso e sotto il controllo collettivo della comune di villaggio, a sua volta formata da diversi grandi gruppi familiari, simili alle gentes dei greci omerici. La prova di questa proprietà gentilizia o di clan della terra può essere vista anche molto più tardi, nel periodo protodinastico. Nei “contratti” per l’acquisto di campi, l’acquirente doveva distribuire “regali” all’intera famiglia allargata del singolo venditore prima che la terra potesse essere liberata dal controllo collettivo di quest’ultima.59 Ma le nuove relazioni che erano emerse dalla nascita delle città rappresentavano una minaccia significativa a questo stato di cose.

Man mano che Uruk cresceva, le terre del villaggio preesistente continuavano ad essere gestite secondo il vecchio sistema familiare. Tuttavia, l’estensione dei progetti di irrigazione, realizzata con lavoro coatto sotto la direzione del tempio, aveva creato terra arabile vergine di cui nessuna famiglia o villaggio poteva rivendicare il possesso. Ciò significava che essa cadeva naturalmente al di fuori del vecchio sistema comunitario. Così queste nuove terre furono assegnate al tempio. Nel corso del tempo, parti di queste terre del tempio furono assegnate a persone in cambio di servizi resi alla città. Naturalmente, questi individui provenivano dall’élite al potere. Tali incarichi non conferivano proprietà assoluta ed erano considerati un compenso temporaneo e revocabile, ma avevano comunque l’effetto di creare una forma di possesso e controllo individuale della terra, indipendente dai villaggi.

La dissoluzione del vecchio ordine comunitario può essere vista anche all’interno della stessa città di Uruk. I cittadini di Uruk non beneficiavano tutti allo stesso modo del surplus estratto dai villaggi. Il tempio deteneva il controllo esclusivo sul prodotto in eccedenza, appropriandosi di una quota sempre maggiore. Ciò che non veniva consumato dalla burocrazia del tempio veniva immagazzinato, distribuito e scambiato sotto il suo controllo. D’altra parte, la disgregazione del sistema familiare aveva creato una sotto-classe di persone prive dei mezzi per mantenersi. Il peso crescente dell’estrazione del surplus che gravava sui villaggi iniziò a costringere quei contadini che non erano in grado di pagare a contrarre dei debiti. Coloro che non pagavano i debiti potevano essere ridotti in schiavitù dai creditori, insieme alle mogli e ai figli. Nel tardo periodo di Uruk cominciamo a vedere prove dell’impiego di vedove e orfani in una forma di lavoro servile, nella produzione di tessuti in officine annesse al tempio.60 Il prodotto di queste officine veniva quindi scambiato, a volte su lunghe distanze, con beni ricercati come rame e ossidiana.

Questo nuovo prodotto della “civilizzazione” ci dà anche una potente indicazione della misura in cui lo status delle donne era caduto a Uruk in quel periodo. In città si conferivano salari o terre a singoli artigiani, sacerdoti ecc., sempre maschi. Anche nelle campagne, la coltivazione dei cereali con l’aratro trainato da buoi era un’occupazione esclusivamente maschile. Quando questo ramo della divisione sociale del lavoro divenne fondamentale, lo divenne anche la posizione degli uomini nella società.

Il posto della donna come eguale produttrice all’interno della famiglia venne meno. La donna fu “avvilita, asservita, divenne la schiava del suo piacere [dell’uomo] e un semplice strumento di riproduzione”,61 come scrisse Engels. Questo è stato riconosciuto dagli stessi Sumeri: “apri le tue vesti, così che egli possa giacere su di te! Dona a lui, l’uomo primordiale, l’arte della donna!”, 62 ordina il cacciatore a Shamkhat, “la meretrice”, nell’Epopea di Gilgamesh. L’ascesa dell’eredità per linea maschile rese le donne interamente dipendenti dai loro mariti o parenti maschi. Se il marito moriva, l’unica salvezza offerta era l’impiego nella bottega del tempio, svolgendo il “lavoro femminile” di casa in condizioni squallide, solo per ampliare la ricchezza della classe dominante. Non per nulla Engels osservava che “il primo antagonismo di classe che fa la sua apparizione nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo tra uomo e donna”.63

Guardando indietro all’ascesa della società di classe a Uruk, è difficile credere che i produttori poterono tollerare un atto di usurpazione così gigantesco. Ma questa trasformazione non si sarebbe potuta ottenere solo con la forza. Come scrive Trotskij, “la giustificazione storica di tutte le classi dominanti risiede nel fatto che il sistema di sfruttamento a cui sono preposte eleva lo sviluppo delle forze produttive a nuovi livelli”.64 Sulla base di questo sviluppo venne innalzato il tenore di vita e il livello culturale di una parte significativa della popolazione, soprattutto nelle città. Questo sviluppo si può desumere dalla nascita della scrittura e del denaro, due delle più importanti innovazioni nella storia dell’umanità.

Scrittura e denaro

C’è una stretta interconnessione tra lo sviluppo del denaro, della scrittura e della società di classe. La scrittura si sviluppa più o meno contemporaneamente in Mesopotamia e in Egitto, ma per semplicità ci concentreremo sulla Mesopotamia. I simboli sull’argilla, noti come token contabili, iniziarono ad apparire in numerosi siti del Vicino Oriente già nel 4.000 a.C. Se si devono contare tre pecore si possono creare tre di questi piccoli token (gettoni) col simbolo di una pecora e li si lega insieme con un pezzo di corda. Nel corso del tempo, man mano che le greggi diventavano più grandi, furono inventati simboli che rappresentavano un numero diverso di capi di bestiame. I token venivano spesso poi racchiusi in un involucro esterno di argilla, noto come bulla, e cotti al forno. Le tavolette pittografiche provenienti da siti come Tell Brak in Siria, che mostrano immagini di animali accanto a numeri, riflettono il massimo sviluppo che questo metodo di contabilizzazione poteva assumere prima che fosse necessario un vero sistema di scrittura.

A Uruk si sviluppò un sistema di scrittura che consentiva ai burocrati del tempio di comunicare tra loro concetti complessi, sulla base dei pittogrammi del periodo precedente. Inizialmente fu utilizzato per organizzare le risorse economiche di Uruk. A partire dal 3.200 a.C. circa, compare la scrittura cuneiforme (riferita alla forma incuneata dei suoi segni) nella documentazione archeologica. Delle tavolette cuneiformi associate a Uruk, circa l’85% è di natura economica e amministrativa. Un sistema di scrittura eccezionalmente complesso come quello cuneiforme presuppone l’esistenza di uno strato nella società che ha avuto il tempo di imparare a leggere e scrivere: gli scribi. Il possesso di questa conoscenza da parte degli scribi assicurò loro un posto importante nelle classi dirigenti sia della Mesopotamia che dell’Egitto. Come dice l’antica Satira dei mestieri egiziana: “Vedi, non c’è incarico che non dipenda da qualche supervisore tranne quello dello scriba. Lui è il supervisore!”65

Sebbene sia iniziata per necessità economica, la scrittura è stata poi utilizzata per una grande varietà di scopi. Il cuneiforme venne utilizzato in tutta la Mesopotamia per migliaia di anni. Alla fine, la prima letteratura e poesia, come la famosa epopea di Gilgamesh, l’inno alla dea Nikal, la più antica canzone conosciuta del mondo, e il codice di leggi di Hammurabi furono tutti scritti in cuneiforme. In questo senso, ogni poeta porta in sé i “resti frantumati” del contabile.

Proprio come la crescita del surplus e la burocrazia del tempio avevano creato un bisogno sociale per la raccolta e la comunicazione di informazioni attraverso la scrittura, la maggiore specializzazione e interdipendenza all’interno della società richiedeva lo scambio costante di una varietà sempre più ampia di prodotti. A Uruk, questi scambi erano in gran parte gestiti dal tempio. Ad esempio, un vasaio che produceva ciotole dal bordo smussato poteva aspettarsi di ricevere dal tempio razioni d’orzo sufficienti, che venivano prelevate come decima dai villaggi.

La vastità e la complessità della distribuzione effettuata dal tempio andavano ben oltre i limiti degli scambi personali che erano stati comuni durante il periodo neolitico. Era quindi necessario un sistema di misurazione più oggettivo. Il peso dell’argento veniva misurato in grani, sicli, mine e talenti. Questo sistema è stato poi utilizzato per creare unità di conto, che hanno permesso ai burocrati del tempio di confrontare i valori delle varie merci che transitavano nei loro magazzini, dando origine al denaro nella sua forma più antica e più elementare: una “misura universale dei valori”.66 Inizialmente sia i volumi di orzo che i pesi dei metalli preziosi giocavano questo ruolo: 300 litri di orzo equivalevano a un siclo d’argento. Queste prime forme di moneta quasi certamente non circolavano tra la popolazione come denaro. In effetti, queste quantità di orzo e argento erano rappresentazioni tangibili dell’astratta misurazione del valore che si effettuava all’interno del tempio. Ma come la scrittura, il denaro non rimase confinato per sempre nelle tavolette del burocrate del tempio. Era destinato a svolgere un ruolo ben più importante nella storia della civiltà: la moneta, il credito e tutte le scintillanti alchimie dell’alta finanza di oggi traggono la loro origine da questi umili pesi d’argento e razioni d’orzo.

Anche la misurazione del tempo venne standardizzata, utilizzando un sistema di conteggio sessagesimale che produsse un anno straordinariamente accurato di 12 mesi e 360 ​​giorni. Dobbiamo ancora oggi ringraziare questo sistema per le nostre ore da 60 minuti. Allo stesso modo, fu introdotta una misurazione standardizzata della distanza per aiutare nella pianificazione dei terreni agricoli e dei canali di irrigazione. Tutte queste innovazioni, che, come Aristotele notò saggiamente, erano direttamente legate alla liberazione dei sacerdoti e degli scribi dal lavoro manuale, diedero un colossale impulso al potere del pensiero scientifico, e diedero vita ai primi astronomi e matematici.

La nascita dello Stato

Abbiamo ampie prove dell’esistenza, nel 3.100 a.C., di una classe di sacerdoti e scribi, basata sul tempio, che deteneva il controllo esclusivo sulla produzione e la distribuzione della ricchezza della società, e cominciava ad assicurarsi una riserva di ricchezza privata ereditaria. Possiamo anche notare che questa classe stava diventando pienamente consapevole di sé, nel senso che si considerava separata e superiore rispetto al resto della società e diffondeva un’ideologia del potere che rifletteva i propri interessi.

Un’altra caratteristica dell’emergere della nuova classe dirigente a Uruk è l’ascesa dei primi “re-sacerdoti”, che appaiono in statue e disegni di sigilli di argilla di questo periodo. Nessuna identità storicamente verificabile né alcun atto ufficiale può essere associato in modo affidabile a questi sovrani anonimi. Anche il nome “re-sacerdote” è un termine improprio, poiché il primo titolo che possiamo trovare per il sovrano di Uruk è En, che significa semplicemente “sommo sacerdote”. Se questi re possano essere considerati veramente capi di Stato nel senso più pieno della parola è questione aperta al dibattito. Tuttavia, possiamo affermare con certezza che l’apparizione di questi “re-sacerdoti” segna un ulteriore cambiamento qualitativo nella disintegrazione del vecchio sistema sociale comunitario, e l’inizio di una nuova forma di organizzazione politica.

Con lo straordinario aumento del surplus e la sua concentrazione nei templi, divenne sempre più necessario, per città come Uruk, erigere mura e organizzare una qualche forma di forza militare, al fine di respingere le incursioni di tribù nomadi di pastori o anche di città rivali. Tuttavia, questa organizzazione militare richiedeva un comandante. I sigilli di argilla dell’epoca suggeriscono che questo ruolo fu svolto dai re-sacerdoti di Uruk e dai successivi monarchi sumeri.67

Sotto il re esisteva anche l’unkin, un’assemblea comunitaria. Tuttavia, questa non era semplicemente la continuazione della vecchia organizzazione gentilizia. Le vecchie assemblee del villaggio erano stati organi decisionali che risolvevano i problemi all’interno delle famiglie che componevano il villaggio. Al contrario, lo Stato emergente, o proto-Stato, rivendicava l’autorità assoluta non solo sulla città in cui risiedeva il re sacerdote, ma anche sul territorio circostante. L’assemblea poteva consigliare, come gli “anziani” dell’Epopea di Gilgamesh, che misero in guardia l’impetuoso re prima della sua lotta con il gigante Humbaba.68 Ma alla fine il re-sacerdote doveva rispondere solo al dio che proteggeva la città, e in realtà alla classe dirigente nei cui interessi governava.

Non molto tempo dopo l’ascesa dei re-sacerdoti, Uruk conobbe un periodo di crisi e collasso, che segnò la fine della cosiddetta “prima urbanizzazione”. Dopo il 3.100 a.C. troviamo non solo una “significativa regressione”69 della cultura di Uruk nella documentazione archeologica, ma il declino permanente e persino la completa scomparsa di altre città della regione, che erano cresciute insieme a Uruk per tutto il quarto millennio a.C. Ad esempio, nel sito di Arslantepe, nella Mesopotamia settentrionale, troviamo prove che il grande complesso di templi della città fu distrutto da un incendio e mai ricostruito.70

Le prove sono troppo scarse per proporre un’unica spiegazione definitiva per un crollo così diffuso. Un potenziale fattore è l’impatto della siccità o dell’eccessivo sfruttamento dei campi, ma anche altri fattori più sociali potrebbero aver svolto un ruolo importante e persino decisivo. Come si può vedere in tutta la storia della società di classe, compresa la nostra epoca, la classe dominante tende a trasferire il peso di qualsiasi crisi sulle spalle dei produttori diretti. Finché la produzione era in espansione, fu forse possibile mettere in secondo piano le nuove contraddizioni di classe che emergevano nella società, ma in una fase di calo della produzione agricola, il conflitto tra i villaggi contadini e la classe dominante nelle città si fece probabilmente molto più acceso.

Mario Liverani, nel suo libro Antico oriente, sostiene che la distruzione del tempio di Arslantepe a causa di un incendio, suggerisce una lotta violenta. Quello che è possibile sapere con certezza è che dopo rimasero solo poche semplici famiglie, senza il ritorno a una struttura templare centralizzata. Non è impossibile che una lotta simile sia scoppiata nel territorio di Uruk, con i villaggi che resistevano alle richieste del tempio di consegnare il surplus o addirittura tentavano di staccarsi del tutto dalla città.

In seguito alla crisi della fine del IV millennio, vediamo sorgere una struttura totalmente nuova nei reperti archeologici: il palazzo. Uruk e gli insediamenti simili erano incentrati su complessi di templi, che si appropriavano e controllavano l’intero surplus. Insediamenti successivi, come Jemdet Nasr, possedevano sia un tempio che un complesso di palazzi, con magazzini e laboratori, simili ai templi del periodo di Uruk.71 Il palazzo, e-gal (che significa “la grande casa”), fungeva quindi da centro produttivo oltre che amministrativo, ed era la residenza del lugal (letteralmente “il grande uomo”). Da questo momento in poi, l’esistenza dello Stato, nel senso più pieno del termine, è indiscutibile.

Il ruolo della forza

La crisi vissuta a Uruk, e il completo crollo in altri siti come Arslantepe, suggerisce che il governo diretto dei sacerdoti, nonostante il loro notevole potere ideologico, mancasse della forza bruta necessaria per mantenere la popolazione assoggettata in caso di necessità. I primi eserciti erano poco più che il popolo armato, arruolato per il servizio militare. Se il popolo stesso si fosse ribellato, la casta sacerdotale avrebbe avuto ben poco su cui contare. Era necessario, per il proseguimento dei rapporti di classe, istituire una forza permanente di “lavoratori a tempo pieno, specializzati in attività militari”,72 separati dalla popolazione nel suo insieme, non solo per proteggere la città dagli stranieri, ma per difendere la classe dominante dalle masse oppresse. Questo “corpo speciale di uomini armati” sarebbe diventato lo Stato, con un “grande uomo” alla sua testa. Come spiega Engels:

“Lo Stato non è quindi in nessun modo un potere imposto dall’esterno alla società, e neppure è l’‘attuazione dell’ideale morale’…è piuttosto un prodotto della società che ha raggiunto un determinato grado di sviluppo, è la confessione che questa società si sviluppa in un’insolubile contraddizione con se stessa; essa è divisa da antagonismi inconciliabili che non può comporre in alcun modo. Ma affinché le classi antagoniste, i cui interessi sono in opposizione, non distruggano se stesse e la società in lotte sterili, si rende necessario un potere, che domini apparentemente al di sopra della società, avente l’incarico di attenuare il conflitto, mantenendolo entro i limiti dell’ordine: questo potere, nato dalla società, ma che si pone al di sopra di essa, divenendole sempre più estraneo, è lo Stato.”73

Contrariamente alla spiegazione avanzata da Engels, i teorici anarchici hanno spesso sostenuto che lo Stato è la radice di tutti i mali, compresa la società di classe, la disuguaglianza e il denaro, che in qualche modo sono sorti sulla base della violenza organizzata dei re e degli Stati. David Graeber, ad esempio, sostiene che “le vere origini del denaro vanno ricercate nel crimine e nella ricompensa, nella guerra e nella schiavitù, nell’onore, nel debito e nella redenzione”.74 Ma questo è apertamente contraddetto dalla documentazione archeologica, che pende tutta a favore della posizione di Engels.

Quello su cui gli anarchici hanno ragione a proposito dello Stato, è la sua assoluta interdipendenza con la società di classe. L’esperienza di Uruk mostra che nessuna società di classe può sopravvivere a lungo senza uno Stato che la protegga e la comandi. Tuttavia, interpretare lo sfruttamento di classe come un prodotto dello Stato significa mettere il carro davanti ai buoi. A meno di non definire lo Stato come una qualsiasi forma di violenza o controllo, rendendo così lo Stato eterno e privo di significato, è evidente da uno studio degli Stati antichi che la società di classe era già in via di formazione quando emersero i primi veri re e Stati.

Che l’ascesa della società di classe abbia ovunque forzato la creazione dello Stato riflette solo il fatto che la dissoluzione finale delle vecchie relazioni comunitarie, che era stata preparata nel corso di migliaia di anni, non poteva essere realizzata in modo pacifico e graduale. Rimaneva una larga parte della società i cui interessi erano direttamente in conflitto con i nuovi rapporti di sfruttamento che cominciavano a emergere. Allo stesso tempo, c’erano evidentemente settori influenti della società che stavano guadagnando molto dal nuovo ordine. Questo ha prodotto un conflitto, che ad un certo momento decisivo ha probabilmente diviso l’intera società in campi contrapposti e alla fine è stato deciso solo dalla forza: “la violenza è la levatrice di ogni vecchia società gravida di una società nuova. È essa stessa una potenza economica.”75

Sviluppo diseguale e combinato

Il processo di formazione dello Stato in Mesopotamia fornisce un affascinante esempio di come la società di classe si sia sviluppata dalla società comunitaria neolitica. Ciò ha portato Gordon Childe a stilare un elenco delle “caratteristiche” importanti che ha rilevato in queste prime società di classe, tra cui “artigiani specializzati a tempo pieno, lavoratori dei trasporti, mercanti, funzionari e sacerdoti”, l’estrazione di un surplus, la scrittura e “un’organizzazione statale basata ora sulla residenza piuttosto che sulla parentela”76.

I molti critici di Childe hanno distorto la sua preziosa descrizione di uno dei processi più importanti della storia umana in una sorta di “ricetta” per la formazione dello Stato, in cui lo Stato è semplicemente una società che contiene le città più tutte le caratteristiche di cui sopra. Di conseguenza, affermano che l’analisi marxista dello Stato è troppo prescrittiva e si applica, in realtà, solo alla Mesopotamia. Tuttavia, questo argomento è davvero debole. I marxisti comprendono che le società statali non sono semplicemente un elenco di caratteristiche. Ci sono civiltà, come gli Inca, che non hanno mai sviluppato la scrittura; e altre, come quella dell’Antico Egitto, in cui le città avevano un ruolo economico minore. Piuttosto che classificare le società in modo empirico e tassonomico, in base alle loro caratteristiche superficiali, è necessario esaminare la loro origine, il loro sviluppo e la loro relazione con le altre società del tempo.

Nel Capitale, Marx scrive a lungo dello sviluppo del capitalismo in Inghilterra, dove ha preso la sua “forma classica”, 77 con aspetti diversi in altri paesi. Allo stesso tempo, non ha sostenuto che la forma esatta in cui il processo si è svolto in Inghilterra fosse l’unico modo in cui poteva svilupparsi. Ciò che ha reso l’Inghilterra il paese classico dello sviluppo capitalista, l’ha resa anche unica. Il fatto che sia stato il primo paese a sviluppare un’economia capitalista dal feudalesimo, ha comportato che il processo si è protratto per centinaia di anni e passando per molte forme intermedie e di transizione. Ciò ha consentito uno studio approfondito dei processi generali sottostanti che si svolgevano non solo in Inghilterra, ma anche in un certo numero di altri paesi. Ma questo non significa che ogni paese, per sviluppare il capitalismo, abbia dovuto attraversare un periodo di produzione della lana per il mercato, seguito dalla manifattura e poi, infine, dal sistema di fabbrica.

Lo stesso si può dire dei cosiddetti Stati “incontaminati”, come sono stati trovati ad esempio presso i sumeri, in Egitto e in Cina. Lungi dall’essere “incontaminate”, queste prime società di classe erano estremamente “disordinate” e contraddittorie, portando il marchio delle precedenti relazioni comuniste. Quelle che sorsero in seguito e sotto l’influenza di queste civiltà, lo fecero molto più rapidamente e senza molto del bagaglio preistorico che si poteva trovare a Uruk, per esempio. Le città-stato sumeriche che si svilupparono in seguito, come Ur, poterono fare un balzo in avanti rispetto ai loro antecedenti. Questo fenomeno è ampiamente documentato nel corso della storia, anche nella storia dello sviluppo del capitalismo. Al privilegio di essere i primi a svilupparsi succede rapidamente il “privilegio dell’arretratezza”, per cui le società economicamente più arretrate possono svilupparsi più velocemente e in modo più razionale, appoggiandosi ai risultati dei loro concorrenti più avanzati.

Un processo simile è descritto ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, dove Engels spiega che le origini dello Stato ateniese possono essere ricondotte al massiccio tumulto sociale causato dall’influenza “corrosiva” della proprietà privata, della schiavitù e del denaro, che erano già stati sviluppati altrove. In queste condizioni, l’ascesa della società di classe ateniese non solo avvenne in un periodo molto più breve che a Uruk, ma prese anche una forma completamente diversa, senza una burocrazia del tempio centralizzata o una tassazione come mezzo principale per acquisire il prodotto in eccesso. Era una società basata su un modo di produzione qualitativamente diverso, caratterizzato da un più alto livello di proprietà privata, e con essa della schiavitù, proprio perché sviluppatosi successivamente, sulla base della tecnologia dell’età del ferro in contrapposizione alla tecnologia dell’età del bronzo, e in un ambiente diverso rispetto a quello dei sumeri e dell’Egitto.

I marxisti sono spesso criticati per aver applicato un modello rigido allo sviluppo delle società di classe, ma se usiamo correttamente il metodo marxista per analizzare l’ascesa dello Stato, possiamo vedere che è vero il contrario. Potremmo persino arrivare a dire che è una legge ferrea del materialismo storico che la costante interazione tra società in diverse fasi produce necessariamente salti e varietà nello sviluppo sociale: un fenomeno indicato da Trotskij come “sviluppo diseguale e combinato”.

Qualunque siano le differenze tra la Mesopotamia e l’Egitto, i Maurya e i Maya, o la Grecia e Roma, il processo che sta alla base dello sviluppo di questi Stati è lo stesso. In tutti i casi il necessario sviluppo delle forze produttive porta alla produzione di un surplus, che a sua volta permette a un gruppo di persone di vivere del prodotto del lavoro altrui. Nel corso del processo, questo gruppo si sviluppa in una classe con i propri interessi, contrapposta al resto della società. Sia a causa della pressione esterna, sia delle contraddizioni interne di questa nuova società di classe (di solito entrambe), uno Stato, che rappresenta in definitiva gli interessi di questa classe, si eleva al di sopra del resto della società come custode dell’“ordine” – cioè della stabilità e della prosecuzione dei rapporti di produzione esistenti. Questo processo può avvenire nell’arco di migliaia di anni o in un periodo di tempo molto breve e può assumere molte forme. Ma la lezione più importante è che lo sviluppo dello Stato è causato fondamentalmente dallo sviluppo delle classi sociali e dalle contraddizioni che ne derivano.

Il ruolo dell’individuo

Ciò non significa che uno Stato e delle classi dovessero per forza svilupparsi automaticamente in ogni comunità in cui si aveva lo sviluppo delle condizioni economiche di base. Tale processo poteva essere interrotto, deviato, rallentato o invertito in base al corso di eventi storici reali, in particolare nel corso della lotta di classe che si sviluppava all’interno di queste società. Come spiega Marx in La sacra famiglia:

“La storia non fa niente, essa ‘non possiede alcuna enorme ricchezza’, ‘non combatte nessuna lotta’. È piuttosto l’uomo, l’uomo reale, vivente, che fa tutto, che possiede e combatte tutto; non è la ‘storia’ che si serve dell’uomo come mezzo per attuare i propri fini, come se essa fosse una persona particolare; essa non è altro che l’attività dell’uomo che persegue i suoi fini.”78

È possibile che singoli individui abbiano svolto un ruolo assolutamente decisivo nella formazione dei primi Stati, proprio come è successo nella moderna lotta di classe. In archeologia, un concetto popolare per spiegare l’ascesa dello Stato primitivo è il “principio dell’ingranditore”, secondo cui nella transizione da un chiefdom [una forma primitiva di potere politico - NdT] ad uno Stato vero e proprio, singoli “ingranditori” o “grandi uomini”, motivati ​​dall’aumento del proprio potere, svolsero un ruolo determinante nella formazione dei primi Stati. Si tratta di solito di una visione della storia incentrata sui “grandi uomini”, che presenta le azioni e le personalità dei grandi individui come un fattore indipendente e trainante nella storia della società. Ma con un approccio materialista alla formazione dello Stato, è possibile mettere questi grandi uomini al loro posto reale. Questo è più chiaro nella formazione dello Stato egiziano, a causa dell’importanza di elaborati rituali funerari e delle sepolture reali, che ci permettono di individuare con facilità le tombe dei singoli re.

Possiamo vedere nelle raffigurazioni di Narmer, il re che unificò l’Alto e il Basso Egitto, che il processo di formazione dello Stato fu tutt’altro che automatico. La tavoletta di Narmer, che fornisce una delle prime rappresentazioni conosciute di qualsiasi re nella storia, mostra Narmer che indossa la corona dell’Alto Egitto, costringendo con una mazza in mano un egiziano di rango inferiore ad arrendersi a lui. I re protodinastici non ereditarono semplicemente uno Stato già pronto; dovettero formarne uno con la forza.

Se Narmer fosse stato un leader incompetente e codardo, la formazione dell’antico Stato egiziano probabilmente non avrebbe assunto la stessa forma. In questo senso, il carattere e le azioni degli individui sono determinanti: se gli eventi accadono come accadono, dipende dalle persone che li compiono. Tuttavia, individui ambiziosi e carismatici sono esistiti in ogni momento della storia. La domanda a cui deve rispondere chiunque voglia comprendere l’ascesa degli Stati è perché, in quel particolare contesto, questi individui siano riusciti a raggiungere i propri obiettivi in ​​modo così decisivo da un punto di vista storico. Individui come il faraone Narmer, il re Giaguaro degli Zapotechi o i primi lugal sumeri, possono aver agito nei propri interessi, ma riflettevano anche la necessità di fondo che esisteva in una società di classe lacerata dalle proprie contraddizioni. Nelle parole di Plechanov:

“Il grande uomo è grande non perché le sue particolarità personali attribuiscano una fisionomia individuale ai grandi avvenimenti storici, ma perché è dotato di particolarità che fanno di lui l’individuo più capace di servire le grandi necessità sociali della sua epoca, sorte sotto l’influenza di cause generali e particolari.”79

Come i costruttori di templi di Göbekli Tepe e i coloni neolitici che prosciugarono le paludi sumere, i primi “grandi uomini” furono individui che con le loro azioni e la loro abilità fecero la storia. Ma non l’hanno creata dal nulla. Se la loro visione e ambizione sembra aver cambiato la società con la sola forza della volontà, è perché questa visione ha rivelato un’immagine del futuro preparata da ben altro che la volontà di un qualsiasi individuo.

Agli albori della società di classe, il rovesciamento del sistema comunitario e la formazione degli Stati fu una delle “grandi esigenze sociali” dell’epoca. Occorreva una soluzione alla crisi che si era aperta nella società e venne trovata nella nascita dello Stato, un processo in cui l’azione di leader come Narmer ha giocato un ruolo importante. L’errore commesso da storici e archeologi è di desumere che l’azione individuale e la necessità storica si escludano a vicenda, quando in realtà le due cose si fondono in ogni evento storico. È proprio attraverso il conflitto di innumerevoli volontà individuali che si esercita la necessità storica.

In difesa del progresso

Considerando le difficoltà affrontate dagli agricoltori neolitici e lo sfruttamento subito da così tanti dei loro discendenti nella società di classe, alcuni si sono chiesti se possiamo ancora descrivere questo sviluppo come “progresso”. Certamente, il mito liberale di un “contratto sociale” illuminato, in base al quale tutta l’umanità ha vissuto un’esistenza più pacifica e prospera, è manifestamente falso. La vita del contadino sumero era probabilmente “cattiva, brutale e breve” come per molti dei suoi antenati neolitici. Né il progresso può essere visto come una sorta di ascesa morale, se pensiamo alla schiavitù delle donne nelle società di classe. L’unica concezione del progresso che può tener conto dell’evidente sviluppo avvenuto nel corso dei secoli, senza intrecciarsi in un disperato groviglio di autocontraddizioni, è quella dello sviluppo delle forze produttive: del dominio dell’umanità sulle forze della natura e sul nostro sviluppo sociale.

Certamente, se il progresso significasse un miglioramento in tutte le aree della vita per tutti, sarebbe difficile trovare molti progressi autentici nella storia umana dalla fine dell’ultima era glaciale in poi. Tuttavia, il progresso dell’umanità nel suo insieme in questo periodo è innegabile. Tra il 5.000 e il 2.000 a.C., la popolazione mondiale aumentò di cinque volte, da circa 5 milioni a 25 milioni.80 Liverani stima che l’ascesa delle prime città-stato abbia coinciso con un aumento di dieci volte della produzione, rispetto ai livelli neolitici.81 Questo aumento della produttività, che comprende le scoperte scientifiche, matematiche e artistiche che usiamo ancora oggi, fu raggiunto in relazioni molto più diseguali e oppressive, e serviva solo a rafforzare quelle relazioni. Lo stesso si potrebbe dire dell’ascesa del capitalismo. Ciò che ha reso progressista sia l’ascesa della società di classe che l’ascesa del capitalismo non è stata la loro astratta superiorità morale, ma la loro necessità concreta come tappe nello sviluppo delle forze produttive: l’unica forma in cui poteva avvenire un ulteriore sviluppo.

Tuttavia, il fatto che lo sfruttamento di classe e l’oppressione in varie forme siano stati un tempo una parte necessaria dello sviluppo sociale, non significa che debbano rimanerlo per sempre. Il comunismo primitivo era necessario e inevitabile, eppure fu altrettanto inevitabilmente rovesciato. Con quale diritto la società di classe può pretendere di essere l’ultima e assoluta espressione della natura umana, il punto di approdo di tutta la storia? Nella storia come nella natura “tutto ciò che esiste merita di perire”; ciò che serve come via per lo sviluppo è infine destinato a essere rovesciato da quello stesso sviluppo.

Ogni conquista prodotta dalla lotta dell’umanità per l’esistenza porta necessariamente i suoi ostacoli e le sue minacce, contro le quali deve aver luogo la lotta per un ulteriore progresso. Questo è particolarmente vero nella società di classe, in cui “ciascun progresso è nello stesso tempo un regresso relativo, dove la felicità e lo sviluppo degli uni si attuano a prezzo dell’infelicità e dell’oppressione degli altri”.82 Il vero contenuto del progresso, lo sviluppo delle forze produttive sociali dell’umanità, si realizza così in una successione di forme limitate e contraddittorie. Se oggi troviamo queste forme discutibili, è solo perché sono diventate obsolete. Ma non smentisce in alcun modo la realtà del progresso in generale.

Oggi viviamo in un mondo in cui le forze produttive che sono già state sviluppate stanno lottando contro le catene della proprietà privata, il cosiddetto “libero mercato” e la divisione del mondo in Stati nazionali capitalistici. Le regolari crisi economiche, le guerre imperialiste e i crescenti orrori del cambiamento climatico testimoniano il fatto che, sotto il capitalismo, non è possibile nessun ulteriore progresso per l’umanità. Solo rovesciando questo sistema sorpassato e morente possiamo sperare di liberare l’umanità dall’incubo prodotto dalla sua continua esistenza. Ma questo può essere ottenuto solo attraverso la socializzazione delle gigantesche forze produttive, create da miliardi di lavoratori senza proprietà che attualmente vivono sotto il capitalismo, e la pianificazione dell’economia globale in modo razionale e democratico. In breve, l’ulteriore progresso dell’umanità non significa altro che la fine della stessa società di classe e di tutte le sue trappole mortali, non ultimo lo Stato.

Friedrich Engels scrisse nel 1884:

“Ci avviciniamo ora a gran passi a un grado di sviluppo della produzione nel quale non soltanto l’esistenza di queste classi ha cessato d’essere una necessità, ma nel quale essa diventa un ostacolo positivo alla produzione. Le classi spariranno così fatalmente come sono sorte, e con esse crollerà inevitabilmente lo Stato. La società che organizzerà nuovamente la produzione sulle basi di un’associazione libera ed egualitaria di produttori, trasferirà tutta la macchina dello Stato là dove sarà l’unico suo posto, da quel momento: nel museo delle antichità, accanto alla rocca e all’ascia di bronzo.”83

Oggi quella tappa è arrivata da tempo. Le condizioni per il rovesciamento del capitalismo e l’instaurazione del socialismo non sono solo presenti, sono “più che mature”. Ora dobbiamo lottare per rendere realtà la previsione di Engels e per costruire un futuro di libertà, abbondanza e speranza per l’intera umanità.

Riferimenti bibliografici principali

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Altri testi importanti usati nella stesura dell’articolo

Childe, V.G. “The Urban Revolution”, The Town Planning Review, 1950, 21(1), pp. 3–17.

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Flannery, K., “Process and Agency in Early State Formation”, Cambridge Archaeological Journal, 1999, 9(1), pp. 3-21.

Kemp, B.J., Ancient Egypt: Anatomy of a Civilization, Taylor & Francis, Milton Park, 2018.

Leakey, R. The Making of Mankind, BCA, New York, 1981.

Note

  1. K. Marx, Miseria della filosofia, Editori Riuniti, Roma, 1986, p. 98.
  2. K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Libro primo, La città del sole, Napoli, 2004, p. 53.
  3. F. Engels, Orazione funebre per Karl Marx, 1883, https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1883/marx.htm
  4. K. Marx, Il capitale…cit., p. 199.
  5. K. Marx, Il capitale…cit., p. 200.
  6. Aristotele, Metafisica, Opere, vol. III, Laterza, Bari, 1973, p. 6.
  7. R. Leakey, The Making of Mankind, BCA, New York, 1981, p. 107.
  8. S. Mithen, After the Ice: A Global Human History, 20,000 - 5000 BC, Phoenix, Londra, p. 323.
  9. F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Savelli, Roma, 1973, p. 76.
  10. C. Darmangeat, L’oppression des femmes, hier et aujourd’hui: pour en finir demain! Une perspective marxiste, 2016, p. 31. http://cdarmangeat.blogspot.com/2016/11/une-nouvelle-version-de-ma-brochure-sur.html.
  11. M. Lombard e K. Kyriacou, “Hunter-gatherer women”, Oxford Research Encyclopedia of Anthropology, 2020, https://doi.org/10.1093/acrefore/9780190854584.013.105.
  12. R. Haas et al., “Female Hunters of the Early Americas”, Science Advances 6, no. 45, 2020, https://www.science.org/ doi/10.1126/sciadv.abd0310.
  13. I. Habib, People’s History of India, vol. 1, Tulika, Nuova Delhi, 2015, p. 66.
  14. P. Draper, Institutional, Evolutionary, and Demographic Contexts of Gender Roles: A Case Study of !Kung Bushmen, Anthropology Faculty Publications, University of Nebraska, Lincoln, 1997, https://digitalcommons.unl.edu/anthropologyfacpub/4.
  15. Ibidem.
  16. M. Lombard e K. Kyriacou, “Hunter-gatherer women”, cit.
  17. C. Knight, “Did communism make us human? On the anthropology of David Graeber”, The Brooklyn Rail, giugno 2021, https://brooklynrail.org/2021/06/field-notes/Did-communism-make-us-human.
  18. A. Moller, “The changing women’s rights of Africa’s San People”, Women, 13 agosto 2019, https://www.unearthwomen.com/2019/08/13/the-changing-womens-rights-of-africas-san-people/.
  19. I. Habib, People’s History of India…cit., p. 41.
  20. F. Engels, L’origine…cit., p. 30.
  21. S. Mithen, After the Ice....cit., p. 139.
  22. Ivi, p. 391.
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  26. N. Milner et al. (eds.), Star Carr Volume 1, White Rose University Press, York, 2018.
  27. S. Mithen, After the Ice…cit., p. 53.
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  48. S. Mithen, After the Ice…cit., p. 59.
  49. Ivi, p. 434.
  50. M Liverani, Antico oriente…cit., cap. 3.
  51. Ivi, cap. 3.
  52. K. Marx, Il capitale…cit., p. 363.
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  54. M Liverani, Antico oriente…cit., cap. 3.
  55. Ibidem.
  56. Ibidem.
  57. K. Marx, Il capitale…cit., p. 386.
  58. M. Liverani, Antico oriente…cit., cap. 4.
  59. M. Liverani, Antico oriente…cit., cap. 6.
  60. J. Scott, Against the Grain: A Deep History of the Earliest States, Yale University Press, Londra, 2017, p. 159.
  61. F. Engels, L’origine della famiglia, cit., p. 85.
  62. https://mediterraneoantico.it/wp-content/uploads/2018/11/Lepopea-di-Gilgamesh.pdf-.
  63. F. Engels, L’origine della famiglia…, cit., p. 94.
  64. L. Trotskij, L’URSS in guerra, In difesa del marxismo, Samonà e Savelli, Roma, 1969, p. 44.
  65. https://www.worldhistory.org/article/1074/the-satire-of-the-trades/.
  66. K. Marx, Il capitale…cit., p. 107.
  67. M. Liverani, Antico oriente…cit., cap. 4.
  68. https://mediterraneoantico.it/wp-content/uploads/2018/11/Lepopea-di-Gilgamesh.pdf, II parte. 69. M. Liverani, Antico oriente…cit., cap. 5.
  69. Ibidem.
  70. Ibidem.
  71. Ibidem.
  72. F. Engels, L’origine della famiglia…cit., p. 212.
  73. D. Graeber, Debt: The First 5000 Years, Melville House, New York, 2014, p. 19.
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  79. J. Scott, Against the Grain… cit., p. 4.
  80. M. Liverani, Antico oriente…cit., epilogo.
  81. F. Engels, L’origine della famiglia…, cit. p. 94.
  82. Ivi, p. 216.